Henri F. Ellenberger

La scoperta dell’inconscio

Capitolo 5
Sulla soglia di una nuova psichiatria dinamica

Gli anni compresi tra il 1880 e il 1900 furono un periodo decisivo, per due motivi. Primo, fu proprio in quel periodo che la prima psichiatria dinamica venne finalmente accettata dalla "medicina ufficiale", così acquistando una diffusione notevolissima; secondo, proprio allora incominciò ad affacciarsi sulla scena una nuova psichiatria dinamica. La storia di questi due processi è però indissolubilmente legata alle variazioni verificatesi nell'ambiente sociale, politico, culturale.

Il mondo nel 1880

Nel corso del secolo, l'aspetto del mondo era cambiato radicalmente in seguito alla Rivoluzione francese e alle guerre napoleoniche, alla nascita di nuovi Stati nazionali, ai rapidi progressi della scienza, dell'industria, del commercio, e all'esplorazione delle ultime terre vergini ancora rimaste. La convinzione predominante era che l'umanità si stesse avvicinando al supremo vertice culturale. Tuttavia, osservandoli dalla prospettiva odierna, moltissimi aspetti di quel mondo erano diversi da quelli del mondo che ci circonda, e occorre un certo sforzo per farsene un quadro esatto.

Soprattutto, la caratteristica dominante era un sentimento di profonda sicurezza. C'erano guerre locali, è vero, ma d'importanza circoscritta; le classi lavoratrici erano spesso in sciopero e c'erano tumulti a sfondo socialista, e attentati criminali dovuti agli anarchici; ma, nonostante tutto, il mondo pareva incrollabile. Lo stesso sentimento di sicurezza era riscontrabile anche nel campo economico, nonostante le crisi periodiche che lo colpivano. Non c'erano problemi di svalutazione o di variazioni nel cambio tra monete di nazioni diverse: poiché le transazioni economiche erano effettuate per mezzo di monete d'oro, il denaro sembrava un'entità costante, degna di fiducia, di valore universale e duraturo. Nonostante le rivalità nazionali, in quell'era di "pace armata" spesso ci si poteva comportare come se i confini e le frontiere non esistessero: ogni cittadino poteva allontanarsi dalla propria residenza in qualsiasi momento e (sempre che ne avesse i mezzi) viaggiare in ogni parte del mondo senza passaporti, visti, o altre formalità (uniche eccezioni la Russia e la Turchia). Questa stabilità della vita si rifletteva anche nell'architettura: le banche e gli alberghi erano costruiti con muri talmente solidi da far invidia a una fortezza, le ville dei privati cittadini erano spesso circondate di muri di pietra. La vita sembrava così sicura che molta gente perdeva l'interesse per i problemi politici e sociali e viveva alla giornata.

Molto evidente era il predominio maschile, quasi assoluto. Era un mondo di maschi per maschi, e la donna occupava una posizione del tutto secondaria. Per le donne non esistevano diritti politici. La separazione e la differenza tra i sessi erano molto più accentuate di quanto non lo siano oggi. L'esercito era un'organizzazione esclusivamente maschile: era inaudito il concetto di un servizio di ausiliarie. In tutti gli uffici gli impiegati, segretari compresi, erano di sesso maschile. Le università non accettavano studentesse (le prime apparvero poco dopo il 1890). Esistevano molti club esclusivamente maschili, e anche nelle occasioni sociali in cui c'era la partecipazione di entrambi i sessi, a un certo punto gli uomini andavano nel fumoir, mentre le donne si ritiravano nel salottino, una volta finito il pranzo. Le virtù maschili (ambizione, aggressività, tenacia) erano esaltate dalla letteratura. L'aspetto esteriore virile comprendeva l'obbligo di barba, baffi o basette; si pensava che un uomo dovesse portare la canna da passeggio, praticare sport come scherma e ippica (piuttosto che altre discipline atletiche che sono più diffuse oggi). Un altro costume maschile, il duello, esisteva ancora tra gli ufficiali, tra i goliardi tedeschi, e negli ambienti più socialmente elevati [1]. Tuttavia anche le donne avevano i loro salotti e le loro associazioni benefiche, i loro periodici; nelle carrozze ferroviarie c'erano degli scompartimenti riservati per le signore. Donne che portassero i calzoni, che si tagliassero i capelli, o che fumassero, non esistevano quasi. L'autorità del marito sui figli e perfino sulla moglie era indiscussa. L'educazione era impostata sull'autoritarismo; il padre dispotico era una figura comunissima, e richiamava su di sé l'attenzione solo quando raggiungeva il limite della crudeltà. I conflitti fra le generazioni, e in particolare tra padre e figli maschi, erano molto più frequenti di oggi. Tuttavia l'autoritarismo era una caratteristica generale di quel periodo storico: lo si poteva riscontrare in ogni campo, non solo nella famiglia. I militari, i magistrati, i giudici godevano di un prestigio sommo. Le leggi erano soprattutto intese a reprimere; la delinquenza minorile era punita con severità, e le punizioni corporali erano considerate indispensabili.

Tutta questa situazione dev'essere tenuta presente per quanto riguarda la genesi del concetto freudiano di complesso edipico.

Tra le diverse classi c'era un distacco più forte di quello che esiste oggi. L'aristocrazia, sebbene fosse priva di effettiva autorità, godeva di molto prestigio, in particolare nelle nazioni in cui c'era una corte reale o imperiale, e tali nazioni costituivano la maggioranza. (Nell'Europa, solo la Francia e la Svizzera erano repubbliche.) Ma dappertutto la classe dominante era l'alta borghesia, che deteneva la maggior parte della ricchezza e del potere politico, e che controllava l'industria e la finanza. Al di sotto della borghesia c'erano le classi lavoratrici. In realtà, le condizioni operaie erano migliorate rispetto a quelle dell'inizio del secolo ma, nonostante i progressi compiuti, gli operai erano molto più poveri di quanto non siano oggi, ed erano meno protetti da leggi sociali. La giornata lavorativa era lunga; molti operai si sentivano pesantemente sfruttati, e le dimostrazioni che accompagnavano gli scioperi o il Primo maggio si svolgevano spesso in un'atmosfera "carica" ed esplosiva. Il lavoro minorile era proibito, ma il lavoro femminile e gli eccessi di sfruttamento (le cosiddette "fabbriche di sudore") erano all'ordine del giorno. Anche le condizioni materiali dei contadini erano migliorate, ma non tanto da evitare che i contadini fossero costretti a fuggire dalle campagne e a inurbarsi. In ogni Paese si notava anche una graduale scomparsa o una diminuzione del patrimonio di tradizioni popolari. Al più basso scalino della scala sociale c'era il cosiddetto Lumpenproletariat ("proletariato degli straccioni": sottoproletariato), vale a dire persone che vivevano in baracche e nella miseria più squallida. All'esistenza di queste classi si collegavano problemi sociali insolubili. Un altro aspetto del periodo sociale era l'esistenza di un enorme numero di domestici. In pratica ogni famiglia borghese aveva almeno un servitore, e le famiglie ricche o quelle aristocratiche ne avevano spesso una decina o anche più. Le condizioni materiali di questi domestici erano perlopiù mediocri. La relazione tra servi e padrone non era più di tipo patriarcale, come un secolo prima, ma era in prevalenza di tipo autoritario, priva di qualsiasi legame affettivo.

Il dominio dell'uomo bianco, esaltato dalle opere di Kipling, non veniva messo in discussione e veniva affermato come una necessità, per il benessere dei popoli delle colonie. Quando si richiamava l'attenzione sul problema della rapida scomparsa delle popolazioni primitive in varie parti del mondo, spesso la si spiegava come una triste ma necessaria conseguenza del progresso o della lotta per la sopravvivenza. Le obiezioni venivano messe a tacere con frasi che parlavano della missione civilizzatrice dell'Europa o del "fardello dell'uomo bianco".

Un altro aspetto caratteristico del periodo era la grande quantità di tempo libero di cui godevano talune classi. Non solo non lavoravano le donne dell'aristocrazia e della borghesia, ma c'erano anche molti uomini che vivevano in ozio tra gli aristocratici, tra i possidenti, e in generale tra le persone con mezzi. C'era anche un particolare mondo, di artisti, di scrittori, di giornalisti, e di gente di teatro, che passava la maggior parte del tempo nei caffè o in altri luoghi pubblici. In quel periodo in cui non esistevano radio, televisione, cinema, il teatro aveva un'importanza enorme. I grandi attori godevano di una popolarità immensa, paragonabile a quella dei più famosi attori cinematografici odierni. A quell'epoca non c'era ancora un'industria delle pubbliche relazioni come quella che esiste attualmente, e perciò ciascuno doveva farsi pubblicità da sé, sia attraverso le proprie conoscenze nel mondo del giornalismo, sia con pettegolezzi, sia facendosi notare in qualche modo. Da ciò derivano il modo teatrale di vivere, le pose, la violenza verbale, le polemiche pubbliche e le riconciliazioni delle figure più in vista. L'opera di Marcel Proust ha colto lo spirito del suo tempo nella descrizione di quegli uomini e di quelle donne oziose, del loro comportamento, delle loro chiacchiere sciocche. Spesso ci si è chiesti perché l'isteria, così diffusa negli anni 1880, cessasse poi così rapidamente dopo il 1900. Una spiegazione plausibile è che l'isteria si accordasse bene con il modo di vita teatrale e affettato di quel periodo.

In un mondo di ozio, l'amore diventava ovviamente questione di primaria importanza per uomini e donne. Non c'è quindi da stupirsi se lo spirito di quel tempo era completamente permeato di un erotismo raffinato. Quelle persone erano "innamorate dell'amore", e davano ai loro intrighi amorosi le particolari caratteristiche formali e teatrali del periodo storico in cui vivevano e che si trovavano nel teatro e nella letteratura dell'epoca (ad esempio nelle opere di Arthur Schnitzler). Questa medesima atmosfera faceva sorgere improvvise "mode" come quella per la musica di Wagner, per le filosofie dell'inconscio di Schopenhauer e di Von Hartmann, e successivamente per gli scritti di Nietzsche, per i simbolisti, il neoromanticismo ecc. L'origine della nuova psichiatria dinamica può venire compresa solo all'interno della particolare prospettiva che caratterizza questo periodo storico.

L'ambiente politico

La nascita della nuova psichiatria dinamica dev'essere anche considerata in riferimento all'ambiente politico di quegli anni. Ora il mondo era diviso tra varie potenze, Stati sovrani nazionali, che erano in una dura competizione tra loro ed erano legate da una rete complessa di trattati e di alleanze mutevoli.

La potenza dominante era l'Impero britannico, anche se incominciavano già a farsi strada gli Stati Uniti. La marina britannica controllava i sette mari; la bandiera inglese sventolava su grandi colonie e su territori distribuiti in tutto il mondo. La moneta inglese era la più forte, e Londra era il maggiore centro commerciale e finanziario del mondo. La regina Vittoria, che nel 1876 era anche stata incoronata imperatrice dell'India, era l'incarnazione della potenza inglese e delle sue tradizioni di dignità e di rispettabilità.

L'attuale generazione considera lo spirito "vittoriano" come sinonimo di brutto stile architettonico, di arredamenti ingombranti, di tendaggi pesanti, di cerimonie pompose, di fraseologia solenne, di pregiudizi antiquati, e di tabù sessuali ridicoli. Tuttavia ai contemporanei la parola "vittoriano" suggeriva piuttosto la parola "vittoria", e in effetti l'Inghilterra risultava sempre vittoriosa per terra e per mare. Quella che oggi i discendenti chiamano ipocrisia, era per i loro antenati vittoriani piuttosto autodisciplina e decorosità nel comportamento. In realtà, lo spirito vittoriano era il risultato di un cambiamento culturale che si era verificato già nel mezzo secolo che aveva preceduto l'incoronazione della regina Vittoria, nel 1837 [2]. Questo cambiamento culturale era iniziato come una reazione contro la vita dissoluta della società inglese del diciottesimo secolo, e contro i pericoli mortali che avevano messo a repentaglio la sopravvivenza dell'Inghilterra durante la Rivoluzione francese e il regno di Napoleone. Un movimento di fervore religioso era stato iniziato da William Wilberforce, un influente membro del Parlamento che fu anche una figura di primo piano nell'abolizione del commercio degli schiavi. Al movimento per la riforma religiosa e morale si accompagnarono una serie di movimenti per riforme sociali ed educative di ogni tipo [3]. Si riteneva poi che l'Inghilterra, dovendo governare un grande impero, avesse anche il compito di educare generazioni di impiegati statali efficienti e onesti. A differenza di quanto oggi si tende a credere, i problemi sessuali erano esaminati con molta franchezza nella letteratura medica e antropologica dell'epoca. Si accennava ad essi anche nella letteratura, con discrezione. Invece di essere "vecchia", l'Inghilterra era allora al vertice della sua forza; essa produsse molte personalità eroiche, costruttori di imperi, esploratori, e filantropi, e anche molte donne notevoli come Florence Nightingale. Basta guardare i ritratti delle personalità vittoriane e si vedrà sul loro volto l'espressione di una forza tranquilla e di un'intensa concentrazione. Il verso di Longfellow: "La vita è reale! La vita è onesta!" avrebbe potuto essere il loro motto. Non si preoccupavano del fatto che l'Inghilterra, essendo così potente, avesse molti nemici. L'Inghilterra esercitò anche una grande attrazione sui popoli stranieri, che cercarono fedelmente d'imitare i costumi inglesi. Tuttavia c'è da tenere presente che lo spirito vittoriano, iniziato prima della regina Vittoria, dopo avere dominato per la maggior parte del diciannovesimo secolo, negli anni 1880 era già entrato in una fase di declino.

Sul continente europeo la prima potenza era la Germania che, dopo essere stata per diversi secoli "una nazione senza uno Stato", aveva finalmente raggiunto l'unità nazionale. Tuttavia l'unità non era venuta a seguito del Parlamento democratico di Francoforte del 1848, ma nel 1871 sotto la guida prussiana e il suo "cancelliere di ferro", Bismarck. Durante il periodo di nazione senza Stato, la Germania aveva sempre vacillato tra due diversi poli d'attrazione, Austria e Prussia. La prima era però stata eliminata come polo d'attrazione dalla vittoria prussiana sull'Austria nel 1866, e l'unificazione germanica era stata finalmente raggiunta come risultato della vittoria della Germania sulla Francia nella guerra franco-prussiana del 1870-71. In Europa i tedeschi fino a quell'epoca erano stati considerati una nazione di romantici, di musicisti, di filosofi, di poeti, e di scienziati puri; ora, da quando erano giunti a una piena coscienza politica, spesso davano l'impressione di essere un popolo aggressivo che rispettava soltanto la forza. La popolazione germanica era aumentata in modo considerevole, nonostante l'incessante emigrazione in massa in direzione dell'America. C'era un'espansione straordinaria nei campi industriale e commerciale, e la Germania costituì un esercito molto numeroso e ben addestrato. Tuttavia a quell'epoca le altre nazioni europee si erano già spartite il meglio dei territori oltremare, e i tedeschi, entrati in lizza per assicurarsi un dominio coloniale solo negli anni 1890, si dovettero accontentare a malincuore delle rimanenze. Fu allora che, ricordando come la Germania avesse posseduto una forte marina nel Medioevo, l'imperatore Guglielmo II decise di costruirsene una, con molto fastidio dell'Inghilterra. I risentimenti della Germania s'intensificarono anche per il timore delle richieste della Francia e per le ambizioni della Russia. Con il passar del tempo la Germania incominciò a provare una vera ossessione per 1'"accerchiamento" da parte delle forze congiunte di Francia, Inghilterra, e Russia. Tuttavia la posizione di preminenza della Germania in campo scientifico e culturale rimase indiscussa, con l'eccezione delle belle arti in cui avevano il primo posto i francesi. Il tedesco era la più importante lingua scientifica del mondo occidentale, e l'ignoranza del tedesco sarebbe stata un grave inconveniente per gli scienziati di numerose branche della scienza, comprese psicologia e psichiatria.

La vittoria della Germania sulla Francia nella guerra del 1870-71 ebbe conseguenze disastrose per l'Europa. Agli occhi di molti tedeschi, l'annessione dell'Alsazia era solo la riconquista di un vecchio territorio tedesco "rubato" da Luigi XIV (cosa che però non giustificava la simultanea annessione di buona parte della Lorena, regione di lingua francese ma d'importanza strategica). Durante il regno di Napoleone III la Francia aveva proclamato il diritto dei popoli all'autodeterminazione, principio che i francesi avevano applicato nel 1860 quando avevano ottenuto Nizza e la Savoia. Poiché la popolazione dell'Alsazia e della Lorena aveva chiaramente espresso il proprio desiderio di essere francese, l'annessione di queste regioni da parte della Germania era considerata dai francesi come un anacronismo politico e come un atto criminale, e le due nazioni rimanevano mutuamente ostili. La Francia era pervasa da un sentimento collettivo d'inferiorità, a causa sia della sconfitta subita ad opera della Germania, sia della posizione d'inferiorità nei riguardi dell'Impero britannico. Tuttavia questi sentimenti d'inferiorità trovarono una certa compensazione nella formazione di un impero coloniale, nella brillante prosperità economica, e nei successi ottenuti in campo scientifico e culturale, successi che erano una spina nel fianco della Germania. In contrapposizione ai tedeschi, rigorosi, disciplinati, autoritari, i francesi affermavano di rappresentare la creatività spontanea e la libertà intellettuale. Un aspetto singolare della Francia era il fatto che la vita intellettuale di tutto il Paese si concentrasse nella capitale. L'arte, la musica, la letteratura fiorivano a Parigi, la Ville Lumière, considerata dai francesi come la capitale del mondo civile. Anche se la lingua francese stava gradualmente perdendo il posto di primo piano che aveva occupato in precedenza, essa continuava a venire usata molto diffusamente ed era la lingua ufficiale della diplomazia internazionale. Agli occhi di molti francesi il loro Paese era il campione dello "spirito", contrapposto al pesante "culto della forza" germanico. Ma la popolazione francese non aumentava come quella delle altre nazioni, e questo fatto contribuì a dare quell'immagine stereotipa della Francia come "nazione al tramonto". Naturalmente i primi a sottoscrivere questa immagine furono i tedeschi.

Nell'Europa centrale la monarchia austro-ungarica occupava una vasta area tra la Germania a nord, la Svizzera e l'Italia a ovest, la Russia a est, e le nuove nazioni balcaniche e la Turchia a sud. L'Austria-Ungheria non era uno Stato nazionale unificato, come ad esempio la Francia o la Germania: essa era descritta come "un mosaico di nazioni e di pezzi di nazioni" mescolati nel modo più complesso. Oggi si tende a considerare la monarchia austro-ungarica come una cosa vecchia e ridicola, con la sua Corte imperiale e la sua aristocrazia che conservavano tradizioni risalenti al Seicento. La si accusa di avere oppresso talune nazioni e di avere invece concesso troppe libertà ad altre. In realtà, come ha detto chiaramente Somary, lungi dall'essere un anacronismo politico, l'Austria-Ungheria era molto più avanzata degli altri Paesi per avere formato quello che oggi si chiamerebbe uno "Stato sovranazionale": coloro che oggi si danno da fare per l'unificazione dell'Europa la studiano con molto interesse [4]. Dopo che l'imperatore aveva rinunciato al potere assoluto nel 1859, e dopo qualche anno di crisi, l'Impero ottenne una costituzione basata sull'Ausgleich ("compromesso") del 1867. L'Impero era diviso in due Stati che avevano diritti strettamente uguali, e che erano entrambi soggetti allo stesso sovrano, imperatore dell'Austria e "sovrano apostolico" dell'Ungheria. Entrambi gli Stati comprendevano una nazione dominante e diverse minoranze nazionali. I due Stati erano uniti non solo dalla lealtà allo stesso sovrano, l'imperatore asburgico, ma anche da un governo "imperiale e reale" (K. u. K.), che era responsabile di taluni campi come la guerra e la diplomazia. Gli affari interni spettavano in Austria al governo e all'amministrazione "imperiali-reali" (K. K.), e in Ungheria al governo e all'amministrazione "reali" (Kngl.). Le relazioni tra l'amministrazione centrale e le minoranze nazionali all'interno di ciascuno dei due Stati erano regolate da leggi complesse. La maggior parte delle minoranze nazionali era turbolenta e affacciava numerose pretese, e i governi dei due Stati avevano costantemente la preoccupazione di dare loro la massima quantità di diritti compatibile, da una parte, con le necessità delle minoranze, e dall'altra con l'esigenza di non danneggiare la coesione dell'Impero. L'unità di quella vasta struttura era assicurata non solo dalla lealtà all'imperatore Francesco Giuseppe, ma anche dall'efficienza della burocrazia e dall'esercito. La monarchia austro-ungarica era considerata da alcuni come un castello in aria destinato a crollare al primo soffio di vento, da altri come un miracolo di saggezza politica e un elemento indispensabile dell'equilibrio europeo. Molti austriaci e molti ungheresi consideravano il loro comune Paese come il più civile del mondo. Un problema spinoso era costituito dalla prossimità della Turchia. A causa della presenza della corte dispotica del sultano, con i suoi harem e i suoi eunuchi, e dei massacri periodici degli armeni e delle altre minoranze cristiane, la Turchia non era considerata una nazione civile. Tuttavia la disgregazione dell'Impero turco, chiamato "il malato d'Europa", aveva fatto sorgere nuove nazioni indipendenti che costituivano una minaccia per la pace a causa della loro turbolenza e della loro aggressività. La monarchia asburgica si sentiva minacciata dalla Russia, il cui governo, mentre da un lato opprimeva le minoranze slave all'interno del proprio territorio, dall'altro lato, all'esterno, si proclamava loro protettore e ne incoraggiava la rivolta.

La monarchia austro-ungarica si stendeva su un territorio vasto e difforme in cui c'erano tutti i tipi di paesaggi, dalla costa alle montagne, con ampie pianure, con laghi e foreste, e con tre belle città storiche, Vienna, Budapest, e Praga. Vienna, capitale dell'Impero e sede di una corte famosa e antica, era una delle più rinomate città del mondo. Nonostante il carattere poliglotta della monarchia, il tedesco era la lingua ufficiale, parlata alla corte, e aveva un notevole prestigio culturale. Vienna era sede ai molti uffici pubblici, era un importante centro diplomatico, un luogo di grande concentrazione culturale, dove il livello d'istruzione era straordinariamente alto. A Vienna abitavano numerosi artisti, musicisti, poeti, scrittori, commediografi, e anche scienziati di grande rinomanza. A causa dell'afflusso continue di persone appartenenti alle varie minoranze dell'Impero, la vita a Vienna era molto pittoresca. Tuttavia la maggioranza degli abitanti conduceva una vita piuttosto provinciale. La popolazione viennese, molto diversa dai tedeschi, freddi, rigidi, disciplinati, era cordiale, amava le comodità, era allegra e mostrava una predilezione per il divertimento. Parlava tedesco con un accento particolare, e si serviva di parole e di frasi idiomatiche che costituivano, nel loro complesso, il cosiddetto "dialetto viennese". Un aspetto tipico della vita viennese erano i caffè, che a quell'epoca erano frequentati esclusivamente da uomini. La maggior parte dei caffè aveva una clientela di tipo esclusivo, composta di persone di una determinata classe sociale, di un certo tipo di occupazione, di una certa inclinazione politica.

Nell'Europa orientale la Russia era un Impero in rapida espansione; dopo l'emancipazione di oltre ventidue milioni di servi della gleba, proclamata dallo zar Alessandro II nel 1861, vi si era verificato anche un rapido sviluppo industriale e commerciale. Il governo autocratico permetteva al popolo una certa dose di libertà. Le arti fiorivano. La Russia ebbe alcuni dei più grandi scrittori del mondo, oltre a famosi scienziati di varie discipline, compresa la psichiatria. Due altri aspetti meritano di venire ricordati. Il primo è il fatto che, mentre nel resto dell'Europa le classi superiori guardavano i contadini dall'alto in basso, in Russia c'era invece tra gli intellettuali una diffusa convinzione che il popolo fosse la fonte della civiltà. Con il motto "ritorno al popolo", molti intellettuali e artisti cercarono di rinnovare la loro ispirazione attingendo a quella fonte ancora vergine. In effetti, i contadini russi possedevano ancora pienamente il loro folclore e le loro ricche arti popolari, e possedevano in modo innato il gusto del bello. Un secondo aspetto era che la Russia era la terra da cui spuntò il "nichilismo", tendenza culturale che si potrebbe definire come il fascino dell'idea di distruzione. Le lontane origini del nichilismo possono venire rintracciate nei genocidi perpetrati dai mongoli che dal tredicesimo al quindicesimo secolo spazzarono metà dell'Asia e della Russia centrale, massacrando vari milioni di esseri umani, riducendo interi Paesi a deserto, e distruggendo fiorenti città fino all'ultimo abitante. In Russia le uccisioni in massa erano divenute a loro volta un metodo politico in mano a Ivan il Terribile. Una mentalità apocalittica si era diffusa tra la popolazione, dando luogo a casi di autodistruzione in massa. Così, nella metà del diciassettesimo secolo i raskolniki ("vecchi credenti") distrussero le proprie case e si diedero la morte con il fuoco pur di non accettare talune modificazioni dei libri sacri. I raskolniki ispirarono numerose sette in cui le tendenze all'autodistruzione erano particolarmente evidenti (come gli skopcij o "mutilatori", e i khlistij o "flagellanti"). Fu tra le comunità raskolniki che ebbe origine il nichilismo politico, in particolare con la figura del noto Necaev, il cui Catechismo rivoluzionario è un vero e proprio libro di testo nella scienza della distruzione della società con mezzi violenti [5]. La storia politica della Russia del diciannovesimo secolo è dominata dall'attività di gruppi rivoluzionari più o meno influenzati dalle tendenze nichiliste, e il nichilismo fu una preoccupazione generale di pensatori e scrittori. È legittimo pensare che non fosse solo per caso che il concetto di pulsione di morte venisse espresso da due scienziati russi verso la fine del , diciannovesimo secolo: lo psichiatra Tokarskij [6] e il fisiologo Mecnikov [7]. Gli altri europei consideravano le tendenze russe al "ritorno al popolo" e al nichilismo come due aspetti inquietanti dell'anima russa, ma ritenevano che non rivestissero un'importanza diretta per il resto dell'Europa.

Molti europei pensavano ancora che il loro continente fosse la guida del mondo e che la Russia e l'America fossero due potenze periferiche. Il ritratto degli Stati Uniti, agli occhi degli europei, era però molto cambiato rispetto a quello che se ne facevano all'epoca della Rivoluzione americana. I francesi, che all'inizio avevano guardato alla nuova Repubblica come a una resurrezione della Grecia antica o della democrazia romana, ora la consideravano come un esperimento politico su grande scala. Tocqueville, un rappresentante dell'aristocrazia francese allora in declino, studiò con interesse profondo lo sviluppo della democrazia americana, e vi ravvisò il modello dei governi europei del futuro. In Europa era anche molto comune una concezione romantica dell'America come terra di nobili indiani e di cowboys spericolati, e non c'è dubbio che tale concezione contribuì a incrementare l'emigrazione in massa della gioventù tedesca verso gli Stati Uniti. Presto l'America venne anche apprezzata per l'ingegno dei suoi scienziati: ad esempio, verso il 1880 Edison divenne una figura popolare tra gli europei. Questi incominciarono anche a osservare con meraviglia lo straordinario sviluppo economico e industriale americano, e poco prima della fine del secolo, nel 1898, la guerra tra Spagna e Stati Uniti fece comprendere di punto in bianco che gli Stati Uniti avevano ormai preso posto tra le principali potenze del mondo. I successi americani nel campo della cultura erano meno noti in Europa. Tuttavia, come vedremo nel prossimo capitolo, l'opera psichiatrica di George Beard e di S. Weir Mitchell, la filosofia di Josiah Royce, la psicologia di William James e di James Mark Baldwin esercitarono un notevole influsso sulla psichiatria dinamica di Pierre Janet.

Cultura, scienza e università

Due fenomeni fondamentali caratterizzano quel periodo: il predominio della cultura classica nell'istruzione, e il predominio delle università come centri della scienza.

Il significato della cultura greca e latina era cambiato dal Rinascimento e dall'epoca del Barocco. Il latino non era più la grande lingua universale della scienza, della cultura, della Chiesa e del governo. Aveva perso la sua ultima roccaforte quando, dopo il 1840, il magiaro era stato proclamato lingua ufficiale dell'Ungheria al posto del latino. Però il latino non era ancora scomparso come lingua scientifica: una dissertazione in latino era ancora obbligatoria in Francia fino al 1900 per il dottorato in lettere. Oltre alla dissertazione principale in francese, Bergson, Durkheim, Pierre Janet, e altri dovettero scrivere anche una tesi di laurea in latino. Si riteneva che nelle scuole secondarie la cosa più importante fosse impartire all'allievo una conoscenza completa del latino con il metodo dell'analisi e della sintesi. Il giovane studente doveva per prima cosa imparare a memoria le declinazioni, le coniugazioni e le regole grammaticali, oltre ai vocaboli, poi continuava componendo frasi, traducendo dal latino e in latino, scrivendo brani in prosa e in versi, sempre prestando molta attenzione allo stile, in modo che rassomigliasse il più possibile a quello dei classici. Dopo sei od otto anni di questo tipo di studio, l'allievo aveva una buona padronanza del latino, ma la usava solo per scrivere, raramente per parlare. Alcune persone deridevano le "ore sprecate per imparare una lingua morta che non serviva a nulla nella vita", tuttavia, visto nella prospettiva del periodo, l'insegnamento del latino era perfettamente coerente con quanto ci si aspettava logicamente da un'educazione liberale. Come ha detto il filologo Wilamowitz-Moellendorf, era un esercizio intellettuale paragonabile agli esercizi spirituali dei gesuiti [8]. Era un metodo per acquistare una capacità crescente di concentrazione e sintesi mentali, e lo si potrebbe paragonare anche allo studio della matematica. Gli uomini che ricevevano quel tipo d'istruzione diventavano capaci di costruire delle vaste sintesi personali. Si può così capire che tanto Janet quanto Freud o Jung erano ben preparati per costruire un corpo di conoscenza e unificarlo entro un sistema immenso. Un altro vantaggio di questo tipo di educazione e di cultura classiche era che forniva agli studiosi la chiave per accedere all'antica cultura greca e romana e a tutto ciò che era stato scritto in latino nel corso di venticinque secoli. Janet che leggeva in latino le opere di Bacone, Freud che leggeva antichi testi di magia nella lingua originale, e Jung che leggeva gli alchimisti medievali nel loro latino difficoltoso, non rappresentavano certo delle eccezioni tra le persone istruite della loro epoca. All'insegnamento del latino veniva data la precedenza rispetto all'insegnamento delle lingue straniere perché imparare il latino equivaleva a formarsi una conoscenza delle radici della propria lingua, mentre invece imparare una lingua straniera equivaleva ad acquisire inconsciamente le forme di pensiero di una cultura estranea. Il francese o l'inglese o il tedesco che avevano goduto di un'istruzione di tipo classico erano perciò più francesi, inglesi, tedeschi dei loro discendenti odierni, ma erano nello stesso tempo più "europei" perché avevano una conoscenza comune delle basi delle loro culture rispettive. Essi avevano anche in comune la conoscenza dei classici dell'antichità. Erano capaci di riconoscere molte citazioni e molti riferimenti, tratti da autori greci e latini, che pochi sarebbero in grado di riconoscere oggi. Ad esempio non c'era nulla di straordinario nel mettere a un libro scientifico un'epigrafe tratta da un verso di Virgilio, come fece Freud per L’interpretazione dei sogni. Non solo Rousseau o Puységur, ma anche loro contemporanei come Frazer o Myers lo facevano. Queste persone si aspettavano che i lettori sapessero riconoscere le citazioni, collocarle nel contesto cui appai tenevano, e afferrarne il significato.

Oltre allo studio dell'antica cultura greca e romana, veniva dedicato molto tempo allo studio dei classici nazionali o stranieri. In Francia, la conoscenza del tedesco era considerata indispensabile per un intellettuale. In Germania era considerata essenziale la conoscenza del francese, e si riteneva ovvio che una persona istruita conoscesse bene Goethe e Shakespeare. Un altro elemento fondamentale della cultura era la filosofia. In Francia l'anno conclusivo del liceo era dedicato allo studio della filosofia; in Germania e in Austria coloro che aspiravano alla laurea dovevano seguire un corso obbligatorio di filosofia.

Il centro principale della scienza e della cultura era l'università. Tutti gli uomini di cultura provenivano da un'università, e la carriera scientifica era legata necessariamente alla carriera universitaria. Le eccezioni come Bachofen e Darwin erano molto rare (entrambi godevano della prerogativa di possedere una notevole ricchezza personale). Scopo dell'università non era tanto quello di laureare degli specialisti quanto piuttosto quello di formare persone di vasta cultura generale che poi si specializzavano in una detenni nata branca della scienza. Si sottolineava il valore della ricerca in sé stessi. La ricerca "pura" veniva tenuta in maggior considerazione che non la ricerca "applicata", specialmente se la ricerca applicata veniva eseguita al di fuori dell'università. All'interno dell'università, i professori godevano di una vasta autonomia, e c'era un rispetto generale per le professioni liberali, almeno nel continente europeo.

In generale, la camera universitaria era lunga e difficile. Era molto raro che uno studioso venisse nominato professore titolare di cattedra quando era ancora giovane. Il venticinquenne Nietzsche, nominato professore nel 1869, costituì un'eccezione clamorosa. Nei gradi inferiori della carriera universitaria non solo la concorrenza era spietata, ma le stesse condizioni materiali erano molto dure. Era passato il periodo in cui i giovani studiosi potevano aspettare che giungesse l'occasione buona dedicandosi all'insegnamento privato in casa dei ricchi (attività disprezzatissima da Fichte, Hegel, e altri). In Germania e nell'Europa centrale il sistema predominante era quello del Privatdozent, che consisteva nel tenere lezioni all'università con la sola remunerazione delle tariffe pagate dagli allievi per ascoltare la lezione. Anche nel migliore dei casi, non era certo questo un modo con cui ci si potesse arricchire. Così, il giovane scienziato poteva passare i migliori anni della vita nell'attesa lunga e snervante del desiderato incarico di "professore straordinario", che almeno portava una certa sicurezza economica. Per quanto riguardava poi la nomina a "ordinario" titolare della cattedra, cioè il coronamento di una felice carriera universitaria, anche qui si può dire che "molti erano i chiamati, pochi gli eletti". Inoltre, non era sufficiente avere del talento o essere uno strenuo lavoratore: occorreva anche osservare talune regole. Anche se era necessario essere ambiziosi, non meno necessario era evitare di apparire quello che i tedeschi chiamano uno Streber, cioè un "arrivista". Albert Fuchs riferisce come suo padre, che aveva dedicato tutta la vita alla carriera universitaria del figlio a Vienna, gli avesse insegnato attentamente a distinguere tra le due cose. Il tentativo di salire di grado nella gerarchia universitaria apparteneva al novero delle ambizioni legittime, ma era invece considerato "arrivismo" cercare di ottenere una patente di nobiltà o una decorazione [9]. Fuchs stesso però ammette che a volte la differenza tra ambizione legittima e arrivismo era piuttosto nebulosa.

Nelle sue memorie, Max Dessoir fornì un breve ritratto delle regole che portavano al successo nella carriera universitaria in Germania verso il 1885 [10]. Il modo più sicuro era quello di appoggiarsi a una nota personalità del campo universitario. Un altro era quello di scrivere articoli che potessero essere notati da specialisti: mediante questi scritti si poteva entrare in contatto con le personalità importanti. Era però preferibile non scrivere troppo, per non diventare un "Narciso del calamaio". Il modo più veloce era quello di compiere delle ricerche attive in uno dei campi più in vista, e questo significa anche che era pericoloso allontanarsi troppo dai sentieri battuti. Occorreva anche evitare di sembrare troppo versatile; era preferibile cercare di dominare un campo ristretto. Per farsi un nome, era bene affidare la propria rinomanza a un proprio libro, a una propria invenzione, a una propria teoria. Però non era desiderabile, anzi era dannoso, rendersi più noto al pubblico generale che negli ambienti universitari, come era successo a Haeckel, che aveva iniziato una brillante carriera universitaria, ma che con i propri scritti popolari sulla scienza e la filosofia si era attirato feroci attacchi da parte dei colleghi.

Dalla letteratura del periodo è chiaro che la carriera universitaria era gravida di pericoli e che ci voleva poco per distruggerla. L'anatomopatologo Lubarsch riferisce che la sua carriera aveva rischiato di fare naufragio per un passo falso. Quando lavorava come assistente all'Istituto di patologia di Rostock, egli chiese un mattino "chi fosse lo scemo che aveva messo un pezzo anatomico in una certa soluzione chimica". Il secondo assistente gli rispose che l'aveva ordinato Herr Professor. Il giorno seguente, Lubarsch ricevette una lettera dal professor Thierfelder, che, a causa dell'insulto diretto alla sua persona, lo licenziava in tronco dall'Istituto. Lubarsch aggiunge che in alcuni campi della scienza come l'anatomia, la fisiologia, la batteriologia, e la chimica, i giovani scienziati dipendevano completamente dal materiale e dalle possibilità di lavoro offerte da un istituto universitario [11]. Perciò l'essere costretti a lasciare l'istituto poteva significare la rovina della propria carriera. Era anche pericoloso cambiare improvvisamente l'orientamento del proprio lavoro e passare a un altro campo. Per questo Bachofen, che era avviato verso una carriera promettente come studioso della storia delle leggi, vide la sua carriera andare in frantumi quando pubblicò la sua opera sulle tombe antiche. Lo stesso successe a Nietzsche, la cui brillante carriera di filologo subì una scossa quando pubblicò La nascita della tragedia e terminò definitivamente con la pubblicazione delle opere filosofiche successive. Anche il fatto di possedere una ingente fortuna personale poteva diventare un'arma a doppio taglio. Poteva rendere tollerabili gli anni da Privatdozent, ma complicava le cose quando poi lo scienziato diventava il proprio Mecenate. Ad esempio, sorsero delle difficoltà per il fisiologo Czermak, che costruì a proprie spese un grosso auditorium a Lipsia, progettato espressamente per dimostrazioni sperimentali. Obersteiner, professore di anatomia e patologia del sistema nervoso, insegnò senza compenso all'Università di Vienna per trentasette anni. Egli fondò a proprie spese un istituto, e più tardi donò all'Università tutto il proprio materiale, le sue collezioni, e la sua biblioteca di 60000 volumi; tuttavia incontrò molte resistenze e molta ostilità da parte dell'amministrazione universitaria e da parte di taluni colleghi. Coloro che non godevano del vantaggio di possedere una notevole fortuna personale, a volte morivano in povertà, nonostante la loro fama. Benedikt riferisce che quando morì l'illustre patologo Rokitansky, la vedova rimase con solo una misera pensione, più tardi aumentata esclusivamente a seguito dell'interesamento dello stesso Benedikt [12]. Lo stesso vale per la medicina clinica. Anche se un medico poteva contare sulla propria clientela, essa non poteva assolutamente sostituire le possibilità scientifiche offerte da un ospedale o da un altro istituto ufficiale.

Le relazioni tra i vari studiosi universitari erano caratterizzate da profonde rivalità, legate paradossalmente a un rigido Korpgeist (spirito di corpo), cioè la solidarietà professionale tradizionale. A causa del Korpgeist, a volte le università mantenevano nel proprio organico vecchi professori i cui insegnamenti erano divenuti ormai superati, o che erano divenuti stravaganti o incapaci. Un tragico esempio fu il caso dell'Ospedale ostetrico dell'Università di Vienna negli anni dal 1844 al 1850. Centinaia di madri vi persero la vita per febbre puerperale endemica, mentre invece l'altro ospedale ostetrico dipendente dall'Università, che serviva come scuola per le levatrici, non mostrò quell'indice di mortalità. L'assistente capo Semmelweis indicò instancabilmente l'origine del male e continuò a denunciare l'incapacità del primario, il professor Johann Klein; non venne mai intrapresa alcuna azione contro il professore, e il collegio universitario, che pure era composto di persone oneste e responsabili, non volle mai intervenire a causa del Korpgeist. Quando infine il professore si decise a lasciare l'incarico, Semmelweis non fu chiamato a succedergli perché aveva infranto una regola etica denunciando il superiore [13]. Questo fatto, che a suo tempo destò un'indignazione profonda, ha recentemente trovato un corrispettivo in ciò che è accaduto al professor Ferdinand Sauerbruch (1875-1951), un brillante chirurgo che però era giunto a un grado patologico di presunzione e di fiducia nelle proprie capacità. Verso la fine della sua vita, i suoi pazienti, uno dopo l'altro, morivano sul tavolo operatorio senza che nessuno osasse intervenire [14].

Era inevitabile che un sistema che richiedeva tanta fatica e tanta competizione destasse anche molta invidia, molta gelosia, e molto odio tra i rivali. Tuttavia questi sentimenti dovevano venire soffocati per uniformarsi al modo di comportarsi ufficiale. Da questa situazione nascevano tutte quelle manifestazioni di risentimento che furono analizzate molto bene da Nietzsche e da Scheler. Lo scrittore francese Leon Daudet descrisse, sotto il nome d'invidia, il tipo di risentimento professionale che nasceva tra gli scrittori: la descrizione è perfettamente applicabile anche ai professori universitari del suo periodo [15]. Raramente l'invidia degenerava in un conflitto aperto tra due professori della stessa università. Uno dei pochi esempi è la polemica tra i due professori Hyrtl e Brücke dell'Università di Vienna. Questi due noti studiosi abitavano nell'Istituto di anatomia, Brücke al pianterreno e Hyrtl al piano superiore. Hyrtl era noto come uno dei maggiori anatomisti del suo tempo: molto ricco, ma altrettanto taccagno, era considerato un eccentrico e godeva dell'antipatia di tutti i colleghi. Brücke era un prussiano austero, rigido, disciplinato; odiava Vienna e a sua volta era odiato da molti studenti per la sua severità eccessiva. Il suo conflitto con Hyrtl iniziò il giorno in cui annunciò che avrebbe tenuto un corso di "anatomia superiore". Questo modo di designare l'istologia colpì Hyrtl come un insulto personale. Incominciò a usare arnesi rumorosi quando era certo che al piano inferiore Brücke avesse ospiti. Come ritorsione, Brücke spostò alcuni cani, su cui stava conducendo esperimenti di privazione di cibo, proprio sotto le finestre di Hyrtl, convinto che lo avrebbero disturbato abbaiando. Però Brücke, con profonda sorpresa, osservò che gli animali non perdevano peso come egli desiderava: la ragione divenne subito chiara quando Brücke scoprì che Hyrtl nutriva segretamente le povere bestie lanciando pezzi di carne dalla finestra [16]. Ma di solito, all'interno della stessa università, i professori che nutrivano antipatie reciproche conservavano una facciata di correttezza, se non di cortesia, e non parlavano mai male degli avversari in pubblico. Invece, quando la rivalità era tra professori di università diverse, nessuno si sentiva obbligato a frenarsi e gli avversari si attaccavano con violenza, sia verbalmente (un esempio ne è il discorso stillante veleno che Virchow tenne a Monaco contro Haeckel nel 1877), sia in forma di libelli corrosivi. Quando Nietzsche pubblicò La nascita della tragedia, il filologo Wilamowitz-Moellendorf criticò severamente il libro in un suo articolo [17]. Un amico di Nietzsche, il filologo Erwin Rohde [18], scrisse subito come risposta un opuscolo particolarmente perfido che incominciava con la famosa frase: "Quando una testa e un libro si scontrano con un rumore di vuoto, credete proprio che il rumore provenga necessariamente dal libro? [19]". A volte le nuove idee e le nuove scoperte venivano immediatamente accettate con entusiasmo (come ad esempio la scoperta di Roentgen dei raggi X), ma molto spesso destavano delle controversie tempestose. Quando Pasteur trovò il trattamento preventivo della rabbia, egli fu oggetto di attacchi talmente violenti da parte dell'internista Peter che cadde in uno stato di depressione e fu costretto a prendersi alcuni mesi di riposo [20]. In Germania Ehrlich, quando scoprì il trattamento della sifilide con arseno-benzoli, fu attaccato senza pietà, e gli attacchi durarono per vari anni. Taluni argomenti, come ad esempio l'ipnotismo, erano portati continuamente alla luce e poi erano lasciati ogni volta cadere per questo tipo di attacchi. Quando Krafft-Ebing, allora professore a Graz, incominciò a lavorare con l'ipnosi, venne attaccato ferocemente da Benedikt, che disse che avrebbe desiderato sottoporlo a un'"analisi psicologica", che cioè avrebbe voluto analizzare la sua personalità e poi ricostruirla per sintesi [21]. Qualsiasi ne fosse la spiegazione, senza dubbio c'era una dose di violenza verbale molto maggiore allora, nel mondo scientifico, di quanta non ce ne sia oggi: anche questo dev'essere tenuto presente quando si valutano le controversie dell'epoca contro Freud, Adler, e Jung.

Tuttavia, occorre far notare in tutta onestà che la sfiducia verso le idee nuove e verso le nuove scoperte era molto spesso giustificata. Non ci va molto a fare un elenco di pretese scoperte che risultarono erronee. Innumerevoli volte gli archeologi affermarono di avere decifrato la lingua etrusca, i fisici di avere scoperto nuovi raggi, i medici la cura per il cancro, o gli storici della letteratura d'avere individuato il vero autore delle opere di Shakespeare. A volte una scoperta erronea portava altri ricercatori a compiere lo stesso errore, producendo così delle false conferme che poi dovevano venire rifiutate da indagini condotte in modo più rigoroso. Questo accadde al fisico Blondot, a Nancy, che credeva di avere scoperto un nuovo tipo di raggio, il raggio N; questo raggio poi risultò solo essere il frutto di un errore d'osservazione [22]. Un'illusione collettiva che durò a lungo fu la pretesa scoperta dei canali del pianeta Marte, proclamata dall'astronomo italiano Schiapparelli nel 1879. Molti astronomi d'ogni parte del mondo incominciarono a credere di scorgere gli stessi canali, e altri, in numero sempre crescente; furono pubblicate carte del pianeta Marte in cui comparivano fino a ottocento canali simili; se ne trasse la conclusione che Marte fosse abitato da esseri viventi [23]; nessuno però riuscì mai a fotografare i famosi canali. In questo caso, l'illusione fu particolarmente tenace a causa dei molti aspetti emotivi in essa contenuti, aspetti che si collegavano al problema dell'esistenza d'esseri intelligenti su altri mondi. E non bisogna dimenticare che la scienza ufficiale era anche sottoposta a continui attacchi da parte di diverse pseudoscienze come la frenologia, la medicina omeopatica, e l'astrologia, che godevano di molta popolarità in vasti settori del pubblico e del mondo intellettuale.

L'intensa competizione tra gli scienziati spiega anche la straordinaria intensità delle polemiche che riguardavano l'attribuzione della priorità di determinate scoperte. Taluni scienziati noti per la dolcezza del loro carattere potevano venir presi da furibondi accessi d'ira se qualcuno pubblicava come nuova scoperta ciò che essi avevano già pubblicato in precedenza. Già nel diciottesimo secolo c'era stata una polemica tra Leibniz e Newton per la scoperta del calcolo infinitesimale, e tale polemica amareggiò gli ultimi anni di vita di Newton. In quel caso però si trattava di una delle scoperte più importanti nella storia della scienza. Invece, per tutto il diciannovesimo secolo, divamparono polemiche riguardanti la priorità su questioni che, viste retrospettivamente, appaiono meschine o ridicole. Raramente le questioni di priorità si concludevano nel modo magnanimo in cui Darwin e Wallace posero fine alla loro controversia sotto gli auspici della Lynnean Society. Con tutto ciò, era piuttosto raro che una scoperta venisse effettivamente rubata al suo scopritore, anche se ne sono pervenuti diversi esempi. Auguste Forel afferma che egli scoprì il nucleo dell'origine del nervo uditivo del coniglio nel 1884 e che mandò uno scritto sulla sua scoperta al professor Bechterev a Pietroburgo. Bechterev lo informò che anche lui aveva fatto la stessa scoperta nello stesso periodo, e poi pubblicò la notizia della scoperta, dopo qualche tempo, nel "Neurologisches Zentralblatt". Forel non aveva alcun dubbio che Bechterev gli avesse rubato la scoperta [24]. Nella maggior parte di queste controversie, le polemiche vertevano sulla priorità della scoperta. C'era la regola che la priorità spettasse al primo che aveva pubblicato la scoperta; l'elemento decisivo era costituito dalla data ufficiale di pubblicazione. In seguito a ciò, sorsero delle polemiche che vertevano sul periodo di tempo passato tra la data di spedizione del manoscritto e la data di pubblicazione del fascicolo della rivista che lo conteneva. Forel affermava di avere scoperto la cellula nervosa nel 1866 e di avere mandato il proprio lavoro all'"Archiv für Psychiatrie", che lo pubblicò solo nel gennaio del 1887. La stessa scoperta era stata fatta simultaneamente da His, che mandò il proprio scritto a un'altra rivista che lo pubblicò nell'ottobre del 1866; His ottenne così la priorità. Dopo di loro, Ramon y Cajàl, Kölliker, e per ultimo Waldeyer pubblicarono la stessa scoperta, ma l'attribuzione generale della scoperta va di solito a Waldeyer perché fu lui a coniare il termine "neurone" [25]. Circolavano voci che taluni autori non esitassero a cambiare la data di pubblicazione dei loro libri e dei loro opuscoli per assicurarsi la priorità.

Le controversie scientifiche erano anche esacerbate da sentimenti nazionalistici. Fin dall'inizio del secolo c'erano state crescenti rivalità tra la scienza tedesca, la scienza francese, la scienza inglese: ciascuna nazione cercava di mettere i propri scienziati in primo piano. La guerra tra Francia e Prussia del 1870-71 infiammò ancor di più le passioni. Sorsero delle dispute tra gli scienziati delle due nazioni, a volte in forma dignitosa come tra Renan e David Strauss, a volte in forma più ostile come tra Fustel de Coulanges e Mommsen. A volte c'erano anche scambi d'insulti. Dopo la sconfitta militare, i francesi tenevano in grande stima la figura di Pasteur, per la sua scoperta importantissima a beneficio dell'umanità, e la esibivano come simbolo della superiorità francese nel campo dello spirito. La Germania opponeva la figura di Koch a quella di Pasteur. Al Congresso internazionale per l'igiene, tenutosi a Ginevra nel 1882, Pasteur lesse una relazione in cui difendeva le proprie scoperte contro talune osservazioni di Koch. Per caso egli parlò di una raccolta tedesca (recueil allemand) di scritti sull'igiene. Koch era presente: gli parve di sentire le parole orgueil allemand, e subito si alzò in piedi, interrompendo Pasteur con vigorose proteste, tra la sorpresa dei presenti che non capivano assolutamente il motivo delle lamentele di Koch [26]. La scienza aveva indubbiamente perso parte del suo carattere d'internazionalità, conservato ancora nel diciottesimo secolo. Il tentativo di costituire una nuova scienza a carattere internazionale incontrava grandi difficoltà a causa dell'espansione subita dalla scienza e del grande numero di scienziati esistenti. Nel passato, uno studioso poteva dedicare anni alla stesura di una singola opera, che veniva così a costituire la sintesi della sua attività e del suo pensiero di tutta la vita. Con lo sviluppo del movimento scientifico sorse l'epoca delle accademie e delle società di dotti che si riunivano periodicamente; in tali occasioni gli scienziati annunciavano brevemente le loro scoperte, poco tempo dopo averle fatte. Sorse anche l'epoca dei congressi, ai quali gli scienziati annunciavano, cercando di precedere la "concorrenza", le scoperte ancora in fase di elaborazione e i risultati che contavano di ottenere. Di solito non si tiene presente che i congressi scientifici sono una cosa relativamente nuova. C'erano già prima incontri annuali nazionali delle associazioni professionali scientifiche, come pure incontri di scienziati delegati dai rispettivi governi all'esame di taluni problemi, ma i grandi congressi che a noi paiono una cosa ovvia costituivano una novità negli anni 1880 [27]. I primi congressi internazionali erano delle piccole riunioni. Ad esempio, il 1° Congresso internazionale di psicologia del 1886 aveva 160 iscritti a partecipare; il secondo, tenutosi a Parigi nel 1889, 210; il terzo, tenutosi a Londra nel 1892, 300; il quarto, a Monaco nel 1896, 503. Lingue ufficiali erano il francese, il tedesco, l'inglese, e a volte anche l'italiano. Si supponeva che gli scienziati, qualunque fosse il loro Paese d'origine, fossero capaci di capirsi tra loro senza bisogno d'interpreti (non essendovi, com'è ovvio, traduzioni simultanee, che a quell'epoca non esistevano ancora neppure nella fantascienza).

La storia della scienza, nel modo in cui la s'insegna normalmente, batte le mani ai vincitori e ignora assolutamente i molti che caddero nella lotta feroce. Eppure, alcuni di coloro che non sono ricordati dalla storia furono persone dalle qualità molto brillanti, se non di genio. Citeremo un solo esempio, quello di Moritz Benedikt (1835-1920), il cui libro di ricordi fornisce un desolante resoconto di una vita di frustrazioni scientifiche e professionali [28]. A una prima occhiata, si direbbe che Benedikt abbia goduto di una carriera invidiabile: egli fu un pioniere nella neurologia, nell'elettrologia, nella criminologia, e nella psichiatria; ebbe una ricca clientela privata, pubblicò numerosi scritti, e compì molti viaggi in terre straniere dove venne salutato come uno dei luminari della medicina austriaca. Ebbe l'ammirazione e l'amicizia di Charcot, che diede il suo nome a una rara malattia (la "sindrome di Benedikt", che effettivamente Benedikt aveva descritto per primo). Tuttavia i ricordi di Benedikt sono quelli di una persona frustrata che letteralmente soffoca per il risentimento. Egli riferisce come le sue scoperte, una dopo l'altra, gli fossero state rubate da altri scienziati che le svilupparono e poi raccolsero il successo che era dovuto a lui; come non gli fosse mai data la cattedra che sentiva spettargli di diritto, e come i suoi meriti non fossero mai stati riconosciuti dai connazionali. Egli descrive l'ostilità degli austriaci verso qualsiasi tipo di grandezza e ricorda la loro ingratitudine nei riguardi dei grandi artisti, di musicisti come Mozart, Haydn, Schubert, del poeta Grillparzer, e altri. E invero, fuor d'ogni dubbio, i contributi di Benedikt alla psichiatria dinamica furono di valore notevolissimo, come vedremo più avanti.

Sarebbe interessante per la storia segreta della scienza analizzare dettagliatamente i fattori che portano la fama ad alcuni scienziati, mentre ad altri danno solo l'oblio. Come esempio si può fare un paragone tra Champollion (1790-1832), che è considerato un genio per avere decifrato i geroglifici egizi, e Grotefend (1775-1853), il quale, pur avendo decifrato l'antica scrittura cuneiforme persiana, oggi è quasi dimenticato [29]. Non c'è nulla che permetta di credere che decifrare l'una debba dar più lustro che decifrare l'altra. Come si può spiegare la diversità d'atteggiamento nei riguardi dell'uno e dell'altro? Per prima cosa, Champollion godette dei benefici di un mito centenario che riguardava l'antico Egitto. I geroglifici (scrittura sacra), a quanto si supponeva, dovevano contenere i misteri di una saggezza prodigiosa e dimenticata che risaliva all'antichità più imperscrutabile. Invece l'antica Persia era stata completamente distrutta dai conquistatori islamici e mongoli: di essa sopravviveva ben poco; solo successivamente, con il libro di Fechner Zend-Avesta e con lo Zarathustra, l'antica Persia venne un po' di moda. Un secondo motivo è che i caratteri cuneiformi erano più astratti e meno decorativi dei geroglifici egizi, molto artistici. Un terzo motivo è che la scoperta di Champollion aveva un connotato politico: la spedizione napoleonica in Egitto (che era già in sé stessa un episodio di storia molto romantico) era stata mandata in fumo dagli inglesi, e la lotta tra Inghilterra e Francia si era trasferita nel campo scientifico. Gli studiosi inglesi stavano ancora cercando la decifrazione dei geroglifici, quando essa venne ottenuta ad opera di un francese; ciò costituiva quasi una rivincita della Francia. Invece la scoperta di Grotefend si verificò in un momento in cui la Germania era particolarmente sorda a queste cose. Un quarto motivo è che la vita stessa di Champollion è piena di episodi avventurosi e romantici.

Ancora bambino egli subì la forte emozione della spedizione in Egitto. A dodici anni fece il voto solenne di decifrare i geroglifici. Incontrò quindi un monaco egiziano che gli insegnò la lingua copta; presto egli se ne impadronì completamente e a sedici anni la conosceva altrettanto bene quanto la sua lingua madre. La sua prima pubblicazione sulla lingua copta fu accolta con entusiasmo all'Institut de France. Quando compì la scoperta decisiva, egli si precipitò di corsa da suo fratello, gridando: "Je tiens l'affaire!" (Ce l'ho fatta!) Poi svenne e dovette rimanere a letto per cinque giorni. La sua scoperta fu celebrata come un trionfo nazionale dai francesi, nonostante le violente proteste degli inglesi. Invece la vita di Grotefend fu quella del figlio di un ciabattino che con mille fatiche era diventato un insegnante di un piccolo collegio di studi classici e che non poteva aspirare a un grado superiore nella scala accademica. La sua scoperta fu accolta dall'incredulità, dal sospetto e dall'ostilità degli orientalisti, ai quali sembrava inammissibile che una scoperta così grande e importante fosse stata fatta al di fuori degli ambienti universitari. Con molto sforzo, Grotefend riuscì a pubblicare parte della sua scoperta e passò il resto della vita lottando disperatamente per ottenere quei riconoscimenti che gli vennero poi dati solo dopo la sua morte. Nelle altre scienze si potrebbero trovare molti paralleli ai destini di Champollion e Grotefend. Davvero, nel mondo scientifico forse più che in ogni altro campo, si poteva applicare il verso di Kipling: "Trionfo e sconfitta... quei due impostori."

Il profeta di una nuova epoca: Nietzsche

Verso il 1880 il mondo occidentale subiva l'influsso del positivismo, dello scientismo, e dell'evoluzionismo. Le tendenze predominanti erano, oltre ai resti della vecchia filosofia illuministica, il darwinismo sociale, il marxismo, e le nuove filosofie materialistiche e meccanicistiche. Tra i pensatori più importanti c'erano i filosofi utilitaristi e sociali Herbert Spencer, John Stuart Mill, e Hippolyte Taine. In letteratura il naturalismo cercava di riprodurre con la maggior esattezza possibile il ritratto della vita e degli avvenimenti, come aveva fatto Balzac e come stavano facendo Flaubert, Maupassant, e Zola. Il Romanticismo sembrava una cosa del passato.

Tuttavia, verso il 1885, per tutta l'Europa si potè scorgere una nuova svolta culturale, un marcato cambiamento degli orientamenti intellettuali. Il fenomeno toccò molti aspetti della cultura, e la nascita di una nuova psichiatria dinamica può essere compresa solo nel suo contesto. Friedrich Nietzsche è il più importante esponente di questo movimento. Nietzsche (1844-1900) era figlio di un pastore protestante che morì quando egli era ancora molto giovane. La prima vocazione di Nietzsche fu la filologia greca e latina. Studente eccezionalmente brillante, fu nominato professore di filologia classica all'Università di Basilea nel 1869, all'età di venticinque anni: un'impresa quasi leggendaria. Nel 1872 sorprese e deluse i colleghi con il libro La nascita della tragedia. La malattia lo costrinse a lasciare la cattedra nel 1879. Aveva già incominciato a scrivere una serie di libri in cui proclamava, con uno stile brillante fatto di aforismi e con un tono profetico, la necessità di rovesciare i valori istituzionali della società contemporanea, il principio della volontà di potenza, e gli oscuri insegnamenti del superuomo e dell'eterno ritorno. Nel 1889 fu colpito da paresi generale e passò in uno stato di blanda pazzia gli anni successivi, fino alla morte che lo colse nel 1900.

Nietzsche costituisce un ottimo esempio di quella che i tedeschi chiamano una natura problematica, vale a dire una personalità, difficile da determinare, che dà luogo a opinioni estremamente discordanti. Tutta la sua vita seguì una serie di crisi successive. Dopo la drammatica perdita della fede cristiana nella giovinezza, nacque il suo entusiasmo per Schopenhauer e per Wagner, poi ci furono il suo passaggio dalla filologia alla filosofia, e poi ancora la brusca rottura dell'amicizia con Wagner. Queste esperienze si univano a una serie di gravi disturbi organici e nevrotici, da cui ogni volta emergeva con nuovi concetti filosofici, l'ultimo dei quali fu il suo famoso libro Così parlò Zarathustra. Non è facile determinare fino a qual punto le ultime opere di Nietzsche esprimevano un'ulteriore evoluzione del suo pensiero oppure se invece costituivano una distorsione del suo pensiero dovuta alla malattia mentale.

Nel mondo europeo della sua epoca tre fatti contribuirono a dare un'importanza particolare a Nietzsche: la sua leggenda, il suo stile, e le sue idee. La leggenda che riguardava la sua persona era già sorta durante la sua vita: era la leggenda d'un uomo che si era separato dalla società per vivere in solitudine tra i monti della Svizzera come Zarathustra nella sua caverna, e che aveva gettato un anatema sulla società contemporanea [30]. Poi era giunta anche la sua malattia mentale, intesa da molti come la rivincita del fato su un essere umano che aveva ardito innalzarsi al di sopra degli altri esseri umani. Dopo la morte, la leggenda di Nietzsche proseguì per mezzo degli "Archivi Nietzsche", il cui unico scopo sembra essere stato appunto quello di propagare tale leggenda, secondo i desideri della sorella e di un piccolo gruppo di fedelissimi che non esitavano a pubblicare versioni falsificate delle sue opere postume [31]. La leggenda di Nietzsche, a sua volta, sarebbe poi stata sfruttata da varie ideologie, compreso il nazismo.

L'influenza delle opere di Nietzsche è dovuta probabilmente tanto al loro stile quanto al loro contenuto. La nascita della tragedia è forse il suo unico libro con un nesso conduttore chiaro e continuo. Le opere seguenti furono delle successioni di spumeggianti aforismi. Così parlò Zarathustra è la storia di un profeta e delle sue affermazioni; un libro pieno di miti e di allegorie che esercitò un fascino straordinario sulla gioventù europea tra gli anni 1890 e 1910.

Le idee di Nietzsche sono particolarmente difficili da valutare a causa della loro mancanza di sistematicità e a causa delle innumerevoli contraddizioni che esse presentano. Non c'è da stupirsi che abbiano dato origine a una notevole quantità d'interpretazioni divergenti. I contemporanei erano colpiti dal loro carattere polemico e dai violenti attacchi rivolti da Nietzsche contro le ideologie del suo tempo, contro gli ordinamenti sociali, le religioni prevalenti, la moralità convenzionale. Egli negava l'esistenza della causalità, delle leggi naturali, e negava la possibilità che l'uomo raggiungesse la verità; questo era espresso in uno dei suoi aforismi: "Nulla è vero, tutto è permesso!" Entro tale prospettiva il pensiero di Nietzsche è stato inteso come un sistema radicale di nichilismo filosofico e morale [32]. La maggior parte degli interpreti del pensiero nietzschiano, tuttavia, tendono a considerare l'aspetto negativo dei suoi insegnamenti come una fase preliminare intesa verso la ricostruzione filosofica dell'uomo, della società, e dell'etica.

Negli aspetti positivi, Nietzsche è importante sia per i suoi concetti psicologici sia per quelli filosofici. La novità dei primi è stata riconosciuta, in ritardo, soprattutto ad opera di Ludwig Klages [33], Karl Jaspers [34], e Alwin Mittasch [35]. Klages si spinge fino al punto di affermare che Nietzsche è il vero fondatore della psicologia moderna. Thomas Mann riteneva che Nietzsche fosse "il più grande critico e psicologo della morale noto alla storia della mente umana" [36]. Anche le sue idee sulla criminalità e sulle pene, come è stato mostrato, sono caratterizzate da una grande originalità di pensiero e conservano un notevole interesse dal punto di vista della criminologia moderna [37].

Alwin Mittasch ha mostrato il collegamento tra le idee psicologiche di Nietzsche e le scoperte contemporanee sull'energia psichica. Nietzsche trasferì nel campo della psicologia il principio di Robert Mayer sulla conservazione e sulla trasformazione dell'energia. Nello stesso modo in cui l'energia fisica può rimanere accumulata e quiescente sotto forma d'energia potenziale oppure può entrare in azione e produrre lavoro meccanico, così Nietzsche fornì un'immagine del modo con cui "una quantità d'energia (psichica) accumulata" poteva attendere fino al momento di venire utilizzata, e del modo con cui a volte una piccola causa "innescante" poteva liberare una notevole scarica o esplosione d'energia psichica. L'energia mentale poteva anche venire accumulata volontariamente in previsione di una futura utilizzazione a un livello superiore. Poteva anche venire trasferita da una pulsione all'altra. Ciò portò Nietzsche a considerare la mente umana come un sistema di pulsioni, e alla fine a considerare le emozioni come un "complesso di rappresentazioni inconsce e di stati della volontà".

Ludwig Klages ha mostrato come Nietzsche fosse un importante esponente di una tendenza che dominava negli anni 1880, cioè la tendenza alla psicologia che "demistifica" o "smaschera", la stessa sviluppata da Dostoevskij e da Ibsen in altre direzioni. L'interesse di Nietzsche era rivolto a svelare come l'uomo sia un essere che inganna sé stesso e che nello stesso tempo inganna continuamente i propri simili. "In occasione di tutto quello che un uomo rende manifesto, si può domandare: che cosa nasconderà? da che cosa deve distogliere lo sguardo? quale pregiudizio deve suscitare? E poi ancora: fino a che punto giunge la sottigliezza di questa dissimulazione? E, così facendo, in che cosa costui s'inganna? [38]" Poiché l'uomo mente a sé stesso più ancora che agli altri, lo psicologo deve trarre le proprie conclusioni dal significato effettivo di un certo comportamento, piuttosto che dalle parole in sé o dagli atti in sé. Ad esempio, l'insegnamento del Vangelo: "Chi si umilia sarà esaltato", deve tradursi così: "Chi si abbassa vuol essere innalzato [39]. Inoltre, quelli che l'uomo crede essere i suoi veri sentimenti e le sue vere convinzioni spesso non sono altro che i resti di convinzioni, o di semplici affermazioni, dei suoi genitori o dei suoi antenati. In tal modo viviamo tanto della follia quanto della saggezza dei nostri antenati. Gli sforzi di Nietzsche per mostrare che ogni possibile tipo di sentimento, di opinione, di atteggiamento, di condotta, di virtù affonda le proprie radici nell'autoinganno o nella menzogna inconscia furono inesauribili. Per questo "ciascuno è agli antipodi di sé stesso"; l'inconscio è la parte essenziale dell'individuo, e la coscienza è solo una specie di formula dell'inconscio, una formula scritta in linguaggio simbolico: "...un più o meno fantastico commento di un testo inconscio, forse inconoscibile, e tuttavia sentito [40]."

Nietzsche concepiva l'inconscio come una zona di pensieri confusi, di emozioni, di pulsioni, e nello stesso tempo come una zona in cui si ripetevano gli stadi precedenti dell'individuo e della specie. L'oscurità, il disordine, la mancanza di coerenza che caratterizzano le nostre rappresentazioni nei sogni ricordano la condizione della psiche umana nei suoi stadi più primitivi. Le allucinazioni dei sogni ci ricordano le allucinazioni collettive che colpivano intere comunità di uomini primitivi. "Dunque: nel sonno e nel sogno, espletiamo ancora una volta il compito (Pensum: il 'penso') dell'umanità primitiva [41]." Il sogno è la ripetizione di frammenti appartenenti sia alla nostra preistoria sia alla preistoria dell'umanità. Ciò è altrettanto valido per le esplosioni di passione sfrenata quanto per la follia [42].

Tanto Klages quanto Jaspers hanno mostrato la grande importanza delle teorie nietzschiane sulle pulsioni, sulle loro relazioni mutue, sui loro conflitti, sulle loro metamorfosi. Nelle sue prime opere Nietzsche parlava del bisogno di piacere e del bisogno di lotta, della pulsione sessuale e della pulsione ad associarsi, e anche della pulsione alla conoscenza e alla verità. Gradualmente egli giunse ad attribuire la predominanza a una sola pulsione fondamentale, la volontà di potenza. Soprattutto, Nietzsche descrisse il destino delle pulsioni: le loro compensazioni illusorie e le loro scariche sostitutive, le loro sublimazioni, le loro inibizioni, il loro volgersi contro l'individuo, senza tuttavia dimenticare la possibilità del loro controllo cosciente.

Il concetto di sublimazione non era nuovo; esso fu applicato da Nietzsche tanto alle pulsioni sessuali quanto a quelle di aggressione [43]. Egli considerava la sublimazione come il risultato di un'inibizione o di un processo intellettuale, e pensava che fosse una manifestazione molto diffusa. "Buone azioni sono cattive azioni sublimate [44]." Anche nella loro forma più altamente sublimata, le pulsioni conservano la loro importanza: "Grado e specie di sessualità in un uomo si estendono sino all'ultimo vertice del suo spirito [45]."

Con il nome di inibizione (Hemmung) Nietzsche descrive ciò che oggi è chiamato rimozione, e applica tale concetto alla percezione e alla memoria. "Dimenticare non è una semplice vis inertiae... ma piuttosto una facoltà attiva, positiva nel senso più rigoroso, d'inibizione." [46] "Io ho fatto questo — dice la mia memoria. — Io non posso aver fatto questo — dice il mio orgoglio, e resta irremovibile. Alla fine, è la memoria ad arrendersi [47]-"

Per quanto riguarda il volgersi delle pulsioni contro l'individuo stesso, questo concetto fornisce la chiave di molti altri concetti fondamentali di Nietzsche: risentimento, coscienza morale, origine della civiltà.

La parola "risentimento" comprendeva ogni tipo di sentimenti di rancore, di disprezzo, d'invidia, di animosità, di gelosia, e di odio; Nietzsche la usò con un nuovo significato. Quando i sentimenti di questo tipo sono inibiti, diventando così inconsci per il soggetto, essi si manifestano in forma mascherata, soprattutto in forma di morale falsa [48]. La morale cristiana — affermava Nietzsche — costituiva una forma raffinata di risentimento; essa era la morale di taluni schiavi che erano incapaci di ribellarsi apertamente contro i loro oppressori e che quindi avevano scelto una via traversa per ribellarsi: questa dava loro un senso di superiorità, ottenuta umiliando i nemici. Il comandamento cristiano: "Ama il tuo nemico" costituisce per Nietzsche un modo sottile per portare il proprio nemico all'esasperazione; esso costituisce dunque una forma crudelissima di rivincita. Il concetto nietzschiano di risentimento sarebbe poi stato accolto, con modificazioni e con ulteriori sviluppi, da Max Scheler [49] e da Marañon [50].

La teoria di Nietzsche sull'origine della coscienza morale gli fu ispirata dall'amico Paul Rèe, che affermava che la coscienza aveva origine dall'impossibilità di scaricare le pulsioni aggressive dell'uomo: un'impossibilità che comparve in un dato periodo storico [51]. Nella Genealogia della morale Nietzsche, come Rèe, raffigurò l'uomo primitivo come una "belva feroce", un "animale predatore", "la magnifica divagante bionda bestia avida di preda e di vittoria" [52]. Ma con la costituzione della società umana, le pulsioni dell'uomo selvaggio e libero non poterono più scaricarsi verso l'esterno e perciò dovettero volgersi verso l'interno. Questa fu anche l'origine del senso di colpa, che a sua volta fu la prima radice della coscienza morale nell'umanità. Nell'individuo, il processo è imposto dall'azione dei comandamenti morali e delle inibizioni di ogni tipo. "Il contenuto della nostra coscienza è tutto ciò che negli anni dell'infanzia ci fu regolarmente richiesto senza motivo da parte di persone che veneravamo o temevamo... La credenza nell'autorità è la fonte della coscienza: questa non è dunque la voce di Dio nel petto dell'uomo, bensì la voce di alcuni uomini nell'uomo [53]." Inoltre, l'individuo ha in sé opinioni e sentimenti di ogni tipo, che derivano dai genitori e dagli antenati ma che egli crede suoi. "Nel figlio diventa convinzione quel che nel padre era ancora menzogna [54]." Non solo i padri ma anche le madri determinano la condotta dell'individuo. "Ognuno porta in sé un'immagine della donna derivata dalla madre: da essa ognuno viene determinato a rispettare o a disprezzare le donne in genere, o a essere generalmente indifferente verso di loro [55]."

Nietzsche spiega l'origine della civiltà nello stesso modo in cui spiega l'origine della coscienza: da una rinuncia alla gratificazione delle pulsioni. In ciò si può riconoscere la vecchia teoria di Diderot e dei suoi seguaci. La civiltà è identificata con una malattia e con una sofferenza dell'umanità, perché essa è: "...la conseguenza di una violenta separazione dal suo passato d'animale, ...di una dichiarazione di guerra contro gli antichi istinti, sui quali fino allora riposava la sua forza, il suo piacere e la sua terribilità" [56].

Un aspetto notevole della psicologia di Nietzsche è l'importanza da lui attribuita non solo alle pulsioni aggressive, ma anche a quelle di autodistruzione. Tra le manifestazioni delle pulsioni di autodistruzione è compresa, secondo Nietzsche, la sete di conoscenza. Con parole di Nietzsche, la scienza è: "...un principio distruttivo, ostile alla vita... 'Volontà di verità': potrebbe essere un'occulta volontà di morte" [57]. La scienza costituisce l'affermazione di un mondo diverso dal nostro, e perciò è la negazione del nostro mondo, che è il mondo della vita.

Tra le idee di Nietzsche più propriamente filosofiche ce ne sono due che meritano un'attenzione speciale: quella del superuomo e quella dell'eterno ritorno. Il concetto di superuomo ha dato origine a una vasta gamma d'interpretazioni. Esso non ha nulla in comune con la figura di un "superuomo" nel senso di un individuo straordinariamente forte e vigoroso, dotato di poteri misteriosi. Il superuomo non costituiva un concetto nuovo, ma l'esatto significato delle parole di Nietzsche è ancora oggetto di controversie [58]. Una possibile interpretazione deriva dall'affermazione di Nietzsche che: "L'uomo è qualcosa che dev'essere superato." Queste parole costituiscono il primo messaggio dato da Zarathustra nella sua predicazione [59]. L'uomo deve vincere sé stesso, ma come? per che scopo? Una spiegazione potrebbe essere la seguente: l'uomo soffre perché è preso tra la sua morale falsa e le sue pulsioni aggressive animali, profondamente radicate. Per risolvere il conflitto, l'uomo deve gettare via tutti i valori stabiliti e deve sentire, all'interno di sé stesso, che tutte le pulsioni violente, in precedenza rimosse, si gonfiano in un'ondata possente; così i pensieri di un uomo che ha sete di vendetta dovrebbero alimentarsi fino alla nausea di sentimenti di vendetta, finché egli sia giunto a un punto in cui si sente libero di perdonare il proprio nemico, di dargli la benedizione, e di rendergli onore [60]. Dopo avere così dato una nuova valutazione a tutti i suoi valori precedenti, ora l'uomo stabilisce da sé la sua nuova scala di valori e la sua nuova morale e vive in accordo ad esse [61]. Quest'uomo, il superuomo, è ora forte, perfino duro, ma è generoso con i deboli e segue una legge morale suprema, cioè quella dell'eterno ritorno. Anche il concetto dell'eterno ritorno ha dato origine a molte interpretazioni divergenti. Non dev'essere inteso nel senso di una "palingenesi ciclica", come quella proclamata da alcuni filosofi antichi i quali insegnavano che, a causa della costituzione fisica dell'universo, gli stessi avvenimenti devono ripetersi necessariamente a intervalli determinati, infinite volte. Come scrisse W. D. Williams, l'idea di Nietzsche è la seguente:

Continuiamo a ritornare non a una vita che sia esattamente uguale a questa, ma proprio a questa vita... Il concetto di Nietzsche è che ogni vita, la più alta e la più bassa, la nobile e la meschina, la buona e la malvagia, siano eterne, che noi lo vogliamo o no... In questo concetto possiamo scorgere un'espressione estrema della nostra totale responsabilità di esseri umani, una responsabilità cui non è possibile sfuggire. Dobbiamo rispondere di ogni momento della nostra vita ripetendola per l'eternità [62].

Questo è anche quanto Nietzsche espresse nella formula concisa: "Questa vita... la tua vita eterna." Nietzsche collegava tra loro il concetto di superuomo e il concetto dell'eterno ritorno. Il superuomo adegua la sua vita al concetto dell'eterno ritorno, così vivendo sub specie aeternitatis: da ciò deriva la terribile maestà di ciascuna azione umana.

Nietzsche affermò in un'occasione che ogni sistema filosofico non è altro che una confessione mascherata. "Per quanto l'uomo possa espandersi con la sua conoscenza, apparire a sé stesso obiettivo: alla fine non ne ricava nient'altro che la propria biografia [63]." Questo è vero, probabilmente, per Nietzsche più che per chiunque altro. Lou Andreas-Salomé osservò per la prima volta lo stretto rapporto che intercorreva tra i disturbi organici e nervosi di Nietzsche e la produttività della sua mente [64]. Secondo la Andreas-Salomé, Nietzsche attraversò una serie di cicli caratterizzati da fasi di malattia, da guarigioni accompagnate dall'acquisizione di nuove concezioni filosofiche, e da periodi di euforia che precedevano una successiva ricaduta nella malattia. Questo può spiegare la sua convinzione irremovibile di portare un nuovo messaggio all'umanità e di essere il profeta di una nuova epoca, e può anche spiegare l'eccezionale successo goduto dalle idee di Nietzsche nell'Europa degli anni 1890. Un'intera generazione fu permeata del pensiero nietzschiano (qualsiasi fosse l'interpretazione che se ne dava) nello stesso modo in cui la generazione precedente aveva subito il fascino del darwinismo. L'influsso di Nietzsche sulla psichiatria dinamica fu enorme. Molto più di Bachofen, è Nietzsche che può essere considerato la fonte comune di Freud, Adler, e Jung.

Agli occhi di coloro che conoscono il pensiero di Nietzsche e quello di Freud, la somiglianza tra i loro concetti è talmente evidente che non ci possono essere dubbi sul fatto che Nietzsche abbia influenzato Freud. Freud parla di Nietzsche come di un filosofo "le cui intuizioni sono spesso confermate nel modo più stupefacente dalla faticosa indagine psicoanalitica", e aggiunge che proprio per quel motivo egli evitò per molto tempo di leggere Nietzsche, allo scopo di tenersi la mente libera da possibili influssi esterni [65]. Tuttavia si deve notare come all'epoca della prima maturità di Freud non fosse necessario avere studiato Nietzsche per essere permeati del suo pensiero, dato che egli era citatissimo: era recensito e analizzato in ogni ambiente e in tutte le riviste e giornali.

Anche la psicoanalisi appartiene chiaramente a quella tendenza "demistificante", cioè alla ricerca di motivazioni nascoste e inconsce, che era caratteristica degli anni tra il 1880 e il 1900. Tanto in Freud quanto in Nietzsche le parole e le azioni sono considerate come manifestazioni di motivazioni inconsce, soprattutto di pulsioni e di conflitti di pulsioni. Per tutt'e due l'inconscio è il campo delle pulsioni selvagge e brutali che non trovano vie di sfogo permesse; pulsioni che derivano da stadi precedenti dell'individuo; dell'umanità, e che trovano espressione nelle passioni, nei sogni, e nella malattia mentale. Anche il termine "Es" deriva da Nietzsche [66]. Anche il concetto dinamico della psiche, con i concetti d'energia mentale, di "quanti" d'energia latente o inibita, di scariche d'energia o di trasferimento d'energia da una pulsione all'altra, si trova in Nietzsche. Prima di Freud, Nietzsche immaginò la psiche come un sistema di pulsioni che possono entrare in conflitto tra loro oppure fondersi l'una con l'altra. A differenza di Freud tuttavia Nietzsche non attribuì una posizione di predominio alla pulsione sessuale (pur dandole l'importanza dovuta), ma piuttosto alle pulsioni di aggressione e di autodistruzione. Nietzsche comprese perfettamente quei processi che sono stati chiamati da Freud meccanismi di difesa, in particolare la sublimazione (termine che appare almeno una decina di volte nelle opere di Nietzsche), la rimozione (con il nome di inibizione), e il volgersi delle pulsioni contro l'individuo. Anche i concetti di imago paterna e materna sono impliciti in Nietzsche. La descrizione del risentimento, della falsa coscienza e della morale falsa anticiparono le descrizioni freudiane di senso nevrotico di colpa e di Super-io. Anche l'opera di Freud Il disagio della civiltà (1929) mostra un notevole parallelismo con la nietzschiana Genealogia della morale. Entrambe queste opere danno nuova espressione alla vecchia supposizione di Diderot che l'uomo moderno sia afflitto da una malattia particolare; una malattia collegata alla civiltà, poiché la civiltà richiede all'uomo che egli rinunci alla gratificazione delle sue pulsioni. Sparse in tutte le opere di Nietzsche ci sono innumerevoli idee e innumerevoli frasi di cui si può trovare un parallelo in Freud. Nietzsche insegnò che nessuno si lamenta o accusa sé stesso senza un desiderio segreto di vendetta, che "ogni lamentarsi (Klagen) è accusare (Anklagen)" [67]. La stessa idea, con lo stesso gioco di parole, compare nel famoso scritto di Freud Lutto e melanconia (1915): "Le loro 'lamentele' sono in realtà 'accuse' nel vecchio senso del termine [68]."

Se l'interpretazione del superuomo fornita da Lou Andreas-Salomé fosse quella giusta, il concetto di superuomo conterrebbe in germe il concetto freudiano di trattamento psicoanalitico. Il superuomo che ha superato il conflitto tra la morale convenzionale e le sue spinte pulsionali è diventate libero nella propria profondità, ha edificato la sua personale scala di valori e la sua morale autonoma. Se egli è "buono", lo è solo perché ha deciso di esserlo. Ha superato sé stesso all'inarca nello stesso modo in cui lo fa il nevrotico dopo una psicoanalisi con esito positivo.

Anche se l'influsso di Nietzsche sulla psicoanalisi non è stato ancora esaminato fino in fondo [69], Crookshank ha compiuto uno studio dettagliato su Nietzsche e Adler [70]. Si possono tracciare dei paralleli piuttosto estesi. Tanto per Nietzsche quanto per Adler l'uomo è un essere incompleto che deve raggiungere da sé la propria completezza. Il principio nietzschiano: "L'uomo è qualcosa che dev'essere superato" trova il proprio equivalente nel principio adleriano: "Essere umano significa essere stimolato da un senso d'inferiorità che tende a essere superato." La concezione di Nietzsche che l'unica pulsione fondamentale dell'uomo è la volontà di potenza si riflette nell'insegnamento di Adler sulla fondamentale lotta dell'uomo verso la superiorità. A tale proposito le opere di Nietzsche sono una miniera inesauribile di esempi che mostrano come la volontà di potenza si manifesti sotto innumerevoli forme mascherate, inclusi perfino l'ascetismo e l'asservimento volontario ad altri uomini (con parole moderne, masochismo morale). La grande differenza tra Adler e Nietzsche è che il primo identifica il superamento dell'uomo da parte di sé stesso con la sua accettazione del "senso di comunità", mentre invece Nietzsche, da estremo individualista, parla con disprezzo della pulsione aggregativa, 1'"istinto del gregge". Tuttavia l'idea nietzschiana che "l'errore sulla vita è necessario alla vita" e che l'autoinganno è necessario per l'individuo anticipa il concetto adleriano di "finzione guida" nel nevrotico.

A differenza di Freud, Jung proclamò sempre apertamente l'enorme stimolo intellettuale da lui trovato in Nietzsche. Le teorie di Jung sono piene di concetti che possono venire ricondotti in forma più o meno alterata a Nietzsche. A tali concetti appartengono le riflessioni di Jung sul problema del male, sulle pulsioni superiori dell'uomo, sull'inconscio, sul sogno, sugli archetipi, l'Ombra, la Persona, il Vecchio Saggio, e molti altri. Jung fornì anche un'interpretazione della personalità di Nietzsche: Zarathustra — egli disse — era una personalità secondaria di Nietzsche. Tale personalità si era formata e si era sviluppata lentamente nel suo inconscio, finché a un certo punto essa era esplosa improvvisamente portando con sé una quantità enorme di materiale archetipico. Le lezioni di Jung sullo Zarathustra sono contenute in dieci volumetti scritti a macchina, non pubblicati, che costituiscono l'esegesi più approfondita che sia mai stata tentata sulla celebre opera di Nietzsche [71].

Neoromanticismo e "fin de siecle"

Come già abbiamo detto, verso l'anno 1885 si verificò in tutta l'Europa una variazione rapida e profonda degli orientamenti intellettuali. Questo movimento era una reazione contro il positivismo e contro il naturalismo e, lino a un certo punto, era un ritorno al Romanticismo; per questo gli venne dato il nome di neoromanticismo [72]. Esso non prese il posto delle tendenze positivistiche e naturalistiche, ma si accompagnò ad esse fianco a fianco fino alla fine del secolo. Esso interessò la filosofia, la letteratura, le arti, la musica, e in generale tutto il modo di vivere, ed esercitò un influsso inconfondibile su quei cambiamenti profondi che nello stesso periodo si verificarono nella psichiatria dinamica.

In senso ristretto, il termine "neoromanticismo" designa un certo numero di poeti tedeschi, tra cui Stefan Georg, Gerhart Hauptmann, Hugo von Hofmannsthal, e Rainer Maria Rilke. In senso lato include numerosi poeti, artisti, musicisti e pensatori che appartenevano a una quantità di gruppi locali e provvisori. Ne facevano parte i preraffaelliti in Inghilterra, i simbolisti in Francia, e il movimento Jugendstil (stile giovane: art nouveau) in Germania. Esso culminò nello spirito del "decadentismo" e fin de siecle.

Nonostante il nome, il movimento era tutt'altro che un semplice ritorno al Romanticismo. Per taluni aspetti esso potrebbe essere chiamato un'imitazione distorta, quasi una caricatura del Romanticismo. La relazione con la natura, per prima cosa, non poteva più essere la stessa. A causa dell'industrializzazione su larga scala, dell'urbanesimo, delle nuove scoperte scientifiche, nel corso del secolo la vita era divenuta sempre più artificiale. Non c'è quindi da stupirsi se non si trova nel neoromanticismo quel sentimento immediato e pungente di contatto intimo con la natura che era alla base del Romanticismo. Anche quando non cercavano direttamente l'artificiale e quando riuscivano a giungere più vicino alla natura, i neoromantici la immaginavano stilizzata, come se la vedessero sempre attraverso gli occhi di artisti e di esteti. Mentre il Romanticismo aveva visto ogni cosa come facente parte di un processo di crescita e di evoluzione, il neoromanticismo tendeva a vederla come facente parte d'un processo di decadimento. Mentre il Romanticismo aveva avuto un'abilità tutta particolare per entrare in empatia con quasi tutti i periodi della storia, il neoromanticismo mostrò una predilezione per i periodi di decadenza. E i neoromantici non riuscivano neppure a trovare un contatto diretto con l'anima della popolazione, come invece avevano fatto i romantici tedeschi. Con il declino dei contadini, il folclore, che era stato la fonte d'ispirazione dei romantici, era andato scomparendo nel diciannovesimo secolo, e i neoromantici dovevano limitarsi a ricerche di miti più o meno vaghi. Il Romanticismo aveva sottolineato il valore unico e insostituibile dell'individuo, ma nello stesso tempo l'aveva osservato nel contesto dei contatti interpersonali dati dall'amicizia, dall'amore, dalla vita in piccoli gruppi e nella comunità sociale. I neoromantici spinsero il culto dell'individuo fino al punto di farlo diventare il culto dell'isolamento dagli altri, cosicché uno dei loro aspetti più comuni fu il narcisismo. Mai, nella storia della letteratura, i poeti celebrarono Narciso e gli eroi narcisistici come allora. Si è mostrato come la figura di Narciso fosse un simbolo generale dell'epoca e un'incarnazione dello spirito dei tempi [73]. Tuttavia i neoromantici si occuparono, con altrettanto interesse quanto i loro predecessori romantici, dell'irrazionale, dell'occulto, e dell'esplorazione delle profondità nascoste della psiche umana. Come i romantici si erano rivolti a Mesmer e al magnetismo animale, così ora i neoromantici si rivolgevano entusiasticamente all'ipnotismo, e chiedevano nuove prove che riguardassero l'inconscio. Nei suoi ricordi Jules Romains ha fatto notare lo straordinario contrasto fra il movimento simbolista francese e il generale progresso della civiltà nel mondo contemporaneo:

Il mondo stava spingendosi sempre più verso l'alto; spumeggiava di vitalità. Dappertutto la libertà politica e la giustizia sociale erano in progresso. Le condizioni materiali dell'uomo continuavano a migliorare senza sosta, e non solo per pochi privilegiati, ma per le grandi masse. La scienza e la tecnica moderne avevano fatto intravedere i loro aspetti benefici, e sembravano promettere un continuo miglioramento del nostro soggiorno su questo mondo... In un mondo che si stava riempiendo di grandi imprese, di fabbriche e di macchine, in un mondo che stava spalancando le porte a una potenza immensa, e in cui uno dei problemi principali era quello di riuscire a tenere il passo con tutti gli aspetti del progresso, di incorporarli tutti nella vita dello spirito, di padroneggiarne tutto il tumulto per trarre da esso le armonie di una nuova civiltà, il simbolista puro, nella sua torre d'avorio, raccontava a sé stesso delle leggende, a volte piacevoli, a volte letterarie e a volte infantili... (Il simbolista considerava la propria epoca come una decadenza, una corruzione bizantina.) ...e ciò costituisce senza dubbio il più fenomenale errore d'interpretazione mai commesso dalla letteratura. C'era una specie di schizofrenia collettiva, il cui significato, probabilmente, è tutt'altro che trascurabile [74].

Quanto Jules Romains dice del movimento simbolista in Francia ovviamente si può trasferire con le stesse parole agli altri movimenti simili verificatisi in tutta l'Europa, cioè a tutti quei movimenti che affermavano la decadenza della civiltà moderna e che appartenevano alla tendenza neoromantica.

Uno storico della letteratura, A. E. Carter, descrive la tendenza neoromantica in un modo molto simile a quello di Romains:

Quasi tutti gli autori dell'epoca pensavano di trovarsi in un periodo di decadenza, e questo non era un capriccio di pochi eccentrici, ma l'opinione salda di filosofi e di critici... Visto dalle disgrazie del presente, il diciannovesimo secolo sembra una cosa dalla robustezza quasi incredibile, un accumulo di vapore, fusioni in ghisa, sicurezza di sé, un po' come erano le sue esposizioni internazionali. Fu il secolo che assorbì i continenti e che conquistò il mondo... Perché mai un'epoca come quella, che viveva vigorosamente una vita vigorosa, dovesse passare tanto tempo ad almanaccare tetramente sulla propria "decadenza", reale o immaginaria che fosse, è uno strano problema cui non si può trovare una risposta semplice [75].

Come indica Carter, la parola "decadenza" aveva cambiato significato e alla fine del diciannovesimo secolo aveva acquisito una connotazione particolare di corruzione ricca e tentatrice. Le persone dell'epoca paragonavano il proprio periodo storico a quello del declino di Roma (o piuttosto a un ritratto leggendario e fantasioso della Roma imperiale), a un ritratto non meno leggendario della decadenza di Bisanzio, e alla scostumatezza frivola della corte di Luigi XV. Dappertutto veniva espressa l'idea che il mondo fosse diventato vecchio, e questa idea era sostenuta da ogni tipo di teorie pseudoscientifiche, in particolare da quella della degenerazione. Ciò vale a spiegare il successo del libro di Max Nordau Entartung (Degenerazione), che conteneva una condanna radicale dei movimenti culturali dell'epoca [76].

I concetti di decadenza e di degenerazione, in tutte le forme immaginabili e sotto i più strani travestimenti, pervadevano il pensiero dell'epoca. Verso il 1850 Morel aveva formulato una teoria psichiatrica in cui quasi tutti i disturbi mentali cronici erano uniti sotto la denominazione di "degenerazione mentale". La teoria di Morel fu accolta da un successo notevole, e negli anni 1880 fu la teoria dominante nella psichiatria francese, con Magnan. Si giunse al punto che quasi tutti i certificati diagnostici degli ospedali psichiatrici francesi incominciavano con le parole dégénérescence mentale, avec..., e poi l'elenco dei sintomi principali. Poco dopo il 1880, Lombroso parlò del "criminale nato", che a quanto si asseriva costituiva una regressione a un tipo ancestrale d'uomo. Le teorie mediche di Morel e di Magnan furono popolarizzate dai romanzi di Zola e di altri scrittori del naturalismo, e si diffusero anche, in modo più sottile, ad opera dei gruppi neoromantici. Il conte di Gobineau affermava che le razze umane erano disuguali e che tutte le civiltà esistenti erano state fondate da razze superiori, le quali, a causa di un processo di continui matrimoni con razze inferiori, erano state assorbite da tali razze, cosicché l'umanità stava indirizzandosi verso uno stato finale di imbastardimento che le avrebbe fatto perdere tutte le facoltà creative [77]. Più frequentemente, però, i pensatori si accontentavano di descrivere la presunta decadenza di una particolare razza o di una particolare nazione. In Francia e in Italia, e anche in Spagna dopo la sconfitta del 1898 nella guerra ispano-americana, l'idea d'inferiorità dei popoli latini era molto diffusa, e spesso si univa a un'ossessione per la superiorità degli anglosassoni [78]. Tuttavia c'era anche l'inglese Houston Stewart Chamberlain che affermava la superiorità dei tedeschi, sottolineando che essi dovevano proteggere la propria razza per mezzo della selezione razziale [79]. Un'altra versione dell'idea di decadenza era quella di "decadenza aristocratica": come conseguenza della diffusione universale della democrazia, gli individui e le famiglie superiori sarebbero stati inghiottiti dalle masse. Infine c'era l'affermazione di Nietzsche che la specie umana nel suo complesso era in declino perché la civiltà era incompatibile con la natura dell'uomo. Da ciò derivava anche la nostalgia dell'epoca verso la vita primitiva, verso le popolazioni primitive, e verso l'arte primitiva.

Questa tendenza generale culminò nello spirito fin de siecle. L'espressione sembra essere comparsa a Parigi nel 1886; essa poi divenne di moda per mezzo del romanzo Mensonges di Paul Bourget. Nel 1891 era già diventata una "calamità letteraria" che si ripeteva ogni momento nelle conversazioni e che poteva leggersi dieci volte per pagina sui giornali [80]. Come nell'epoca del Romanticismo c'era stato il mal du siecle, così ora l'epoca che precedette la fine del secolo era impregnata dello spirito fin de siecle. C'era, per prima cosa, un senso generale di pessimismo, che si presumeva basato sulle dottrine filosofiche di Von Hartmann e di Schopenhauer. Oggi è difficile immaginare il fascino esercitato dalla filosofia di Schopenhauer sull'elite intellettuale dell'epoca. Malwida von Meysenbug, un'amica di Wagner e di Nietzsche, racconta nelle sue memorie che la scoperta delle opere di Schopenhauer fu per lei una specie di conversione religiosa [81]. I problemi filosofici che l'avevano preoccupata per anni le erano diventati subito chiari. Aveva trovato una nuova interpretazione della fede cristiana, insieme con una pace interiore e un nuovo significato della vita. Tuttavia, più spesso il pessimismo di Schopenhauer e di Von Hartmann trovava espressione in forme meno dignitose ispirando saggi, drammi e romanzi lugubri e morbosi.

Un secondo aspetto del fin de siecle era il culto dell'anti-physis, vale a dire di tutto ciò che è l'opposto della natura. Mentre nel diciottesimo secolo il mito predominante era stato quello del "buon selvaggio", del vigoroso uomo primitivo che viveva nella sua foresta e lottava per la propria libertà, ora c'era invece il mito inverso dell'"uomo civile corrotto", indebolito e sofisticato dai lussi della grande città [82]. In netto contrasto con la comunione con la natura dei romantici, l'uomo fin de siecle si sentiva a casa propria ne'le città enormi e disordinate (le villes tentaculaires del poeta Verhaeren) e godeva dei lussi corrotti e perversi che esse gli offrivano. Tutto questo si univa al culto dell'estetismo, all'eleganza raffinata degli abiti e degli arredamenti, e a una ricerca delle cose rare che portava ad ogni possibile tipo di stravaganza. Raramente, nella storia della cultura umana, ci furono tanti eccentrici come in quel periodo.

Una caratteristica ulteriore dello spirito fin de siècle era il suo vago misticismo. Nei casi più favorevoli, questo misticismo condusse alcuni esponenti della letteratura a conversioni religiose più o meno sensazionali (come era già successo a molti romantici); tuttavia esso ne condusse anche molti altri a unirsi a sette spiritistiche od occulte di ogni tipo. Spesso quest'atmosfera produsse un interesse per i fenomeni dell'ipnosi, del sonnambulismo, della personalità alternante, della malattia mentale. Una nuova tecnica letteraria, quella del monologo interiore, diventò molto frequente, proponendosi di fornire una riproduzione esatta del flusso della coscienza individuale. Lo scrittore francese Edouard Dujardin [83] e lo scrittore austriaco Arthur Schnitzler [84] incominciarono a scrivere romanzi in cui l'azione era assente, comprendenti solo descrizioni del presunto svolgimento del filo dei pensieri dei protagonisti in un certo periodo di tempo.

Un'altra importante caratteristica dello spirito fin de siècle era il suo culto dell'erotismo. Il cosiddetto spirito vittoriano, che aveva regnato, soprattutto in Inghilterra, fino ai decenni intorno alla metà del secolo, era già in declino dappertutto: ne restava ben poco nell'Europa continentale. I libri, i periodici, i giornali erano pieni di preoccupazioni erotiche, anche se con maggiori restrizioni e una maggiore sottigliezza d'espressione di quelli odierni. La quantità di letteratura oscena era tale che Jules Claretie, scrivendo una rassegna dell'anno letterario 1880, la intitolò con l'epitaffio: "Qui giace il 1880, anno pornografico" [85]. L'erotismo dominava la letteratura a tutti i livelli, sia a quello più elevato, con opere raffinate di autori come Anatole France e Arthur Schnitzler, sia a quello infimo delle peggiori pubblicazioni per persone prive di cultura. Un'abbondante letteratura medica o pseudomedica sulle perversioni, resasi presto disponibile, trovava un vasto pubblico. Anche le perversioni sessuali erano descritte in molti romanzi dell'epoca, in forma più o meno velata. In effetti, fu proprio in quel periodo che alcune perversioni sessuali ricevettero il nome con cui ci riferiamo tecnicamente ad esse ancor oggi: sadismo, masochismo, feticismo; spesso la descrizione clinica venne dopo quella letteraria. Mario Praz ha fatto notare l'importanza del ruolo del vampirismo nel diciannovesimo secolo, e come il personaggio del vampiro maschile (il seduttore distruttivo) fosse stato gradualmente sostituito dal personaggio del "vampiro femminile" (la "donna fatale") verso la fine del secolo [86]. Un altro tema, che traspare chiaramente dalla produzione artistica del periodo è quello della prostituzione: pittori come Toulouse-Lautrec e Klimt dipinsero le prostitute mostrando una certa tenerezza nei loro confronti; scrittori come Maupassant, Wedekind, Wildgans, e Popper-Lynkeus le glorificarono.

Lo spirito fin de siecle predominava soprattutto in due città: Parigi e Vienna. Gli storici del pensiero fanno notare come la generazione che nel 1890 aveva vent'anni fosse una delle più dotate tra quante ne sono esistite in Francia. C'era una fioritura di genialità e di talento nel campo filosofico, in quello scientifico, in quello artistico e letterario, e si assisteva a una ventata di nuove idee contraddittorie. I rappresentanti la vecchia generazione mostravano spesso apprensione per tutta quell'anarchia spirituale, non sospettando che il fin de siecle era solo un sentimento temporaneo, e che stavano per emergere nuove originali forme di pensiero. Scrittori come Paul Morand, volgendosi a osservare retrospettivamente quel periodo, tendono a considerarlo come un'epoca frivola che produsse solo cose prive d'importanza, e sottolineano il morboso erotismo che permeava la vita [87]. Tuttavia altri come André Billy, pur non negando questo erotismo, affermano che era un erotismo di qualità molto elevata e che faceva parte della contemporanea ricerca della felicità [88]. Billy ritiene che soprattutto il periodo fin de siècle fosse affetto da una sovrabbondanza di ricchezze culturali.

Il secondo grande centro dell'atmosfera fin de siècle era Vienna. In Austria l'idea di decadenza, che dominava in tutta l'Europa, assumeva un significato particolare: essa veniva applicata alla monarchia e all'impero, di cui molti prevedevano la prossima caduta e la prossima disgregazione. Come quella di Parigi, anche la giovane generazione di Vienna era molto brillante ed era dotata di un talento straordinario. Il circolo Giovane Vienna annoverava tra i propri membri poeti come Hermann Bahr, Richard Beer-Hofmann, Hugo von Hofmannsthal, Richard Schaukal e Arthur Schnitzler. Anche qui, il male principale era probabilmente la sovrabbondanza d'idee e di ricchezze culturali.

La profonda affinità tra la nuova psichiatria dinamica, allora incipiente, e lo spirito del tempo è rivelata dalla somiglianza tra i pazienti descritti dagli psichiatri e i personaggi descritti dai romanzieri e dai drammaturghi. Abbiamo già osservato come molti casi clinici di Pinel sembrino tratti dalle opere di Balzac. Nello stesso modo, i pazienti di Janet mostrano delle somiglianze notevoli con alcuni personaggi di Zola (ad esempio, la Irene di Janet ricorda Pauline, protagonista del romanzo di Zola La joie de vivre). Così l'Elektra di Hofmannsthal ricorda molto più la nota Anna O. di Breuer che non l'Elettra di Euripide, e la Dora di Freud potrebbe appartenere a una novella di Schnitzler. La cosa non deve meravigliare: scrittori e psichiatri erano cresciuti entro lo spirito della stessa generazione e vivevano circondati dalla stessa atmosfera. Era dal medesimo ambiente fin de siècle, raffinato ed erotico, che gli uni traevano i loro personaggi letterari, gli altri i loro pazienti.

Psichiatria e psicoterapia

Come abbiamo visto nello scorso capitolo, nei primi decenni del diciannovesimo secolo le tendenze predominanti nella psichiatria erano due: quella dei Somatiker e quella dei Psychiker (nella terminologia usata in Germania). I primi attribuivano le malattie mentali a cause organiche e a condizioni cliniche cerebrali, mentre i secondi sottolineavano le cause affettive di tali malattie. Come anche abbiamo visto, la seconda tendenza entrò in declino verso il 1840, e Griesinger tentò di fondere le due tendenze. Tuttavia successivamente la tendenza che dominò l'intero campo della psichiatria fu quella organicistica. In tutta l'Europa, due grandi princìpi sembravano presiedere al trattamento dei malati mentali. Il primo era il principio umanitario nato da Pinel e dai suoi contemporanei: i pazienti mentali dovevano venire trattati nel modo più umano possibile. Il secondo era il principio che "le malattie mentali sono malattie cerebrali"; perciò la miglior cosa che uno psichiatra potesse fare per i propri pazienti era studiare l'anatomia e la patologia cerebrale, con la speranza che quelle ricerche servissero, con l'andar del tempo, a far scoprire trattamenti specifici per le malattie mentali. Questo atteggiamento portò molti ospedali psichiatrici a divenire dei centri per lo studio dell'anatomia e della patologia cerebrali. A volte un medico era nominato direttore di un ospedale psichiatrico per il solo motivo che era un valente studioso dell'anatomia cerebrale. Diverse importanti scoperte nel campo dell'anatomia cerebrale vennero così compiute in piccoli e isolati ospedali psichiatrici.

Con la sua affermazione che "le malattie mentali sono malattie cerebrali", Griesinger dichiarò guerra agli ultimi esponenti della vecchia psichiatria romantica. A quell'epoca Rokitansky e Virchow gettavano le basi dell'anatomopatologia cellulare, che sembrava l'unico saldo punto d'appoggio della medicina. In seguito a ciò, Meynert, Wernicke, e i loro discepoli cercarono di dare una base simile alla psichiatria. Theodor Meynert (1833-92) e Carl Wernicke (1848-1905), due profondi studiosi dell'anatomia cerebrale e due clinici esperti, tentarono di edificare un sistema complessivo di psichiatria organica e meccanicistica. Tuttavia essi spesso aggiungevano ai loro risultati obiettivi talune ipotesi sul sostrato anatomico e fisiologico dell'attività psichica, e alla fine del diciannovesimo secolo molti psichiatri presero l'abitudine di formulare i disturbi psicopatologici con termini presi a prestito dall'anatomia cerebrale: questo fenomeno veniva chiamato Himmythologie (mitologia del cervello).

Il merito di avere superato tale tendenza va a Emil Kraepelin (1856-1926) e alla sua prospettiva multipla verso la psichiatria, prospettiva comprendente neurologia e anatomia cerebrale, psicologia sperimentale con l'applicazione di metodi di prova nuovi e sofisticati, e l'indagine completa sulla storia personale del paziente. Kraepelin sembra oggi diventato il capro espiatorio di molti psichiatri che affermano che la sua unica preoccupazione era quella di appiccicare etichette diagnostiche ai pazienti; dopo di questo, secondo tali affermazioni, egli non faceva più niente per loro. Tuttavia la realtà è diversa: egli dedicava molte attenzioni a fornire a ciascuno dei suoi pazienti i migliori trattamenti disponibili all'epoca, ed era una persona profondamente umana [89]. Uno dei suoi maggiori successi fu la costituzione di una nosologia razionale e di una classificazione razionale delle malattie mentali, con il concetto di "demenza precoce" e di "disturbi maniaco-depressivi". Verso il 1900, Kraepelin godeva di una fama notevole ed era ritenuto l'uomo che aveva introdotto la chiarezza nel campo delle malattie mentali; il suo sistema si conquistò gradualmente il consenso generale.

Intanto, l'opera di persone come Heinroth, Ideler, Neumann, e degli altri Psychiker, che probabilmente non era mai stata dimenticata del tutto, attraversò una reviviscenza negli anni 1880. A questo proposito, due personalità meritano una menzione particolare: Forel e Bleuler.

Auguste Forel (1848-1931) fu una personalità caratterizzata da un vigore straordinario. Ne conosciamo bene la vita grazie alla sua autobiografia [90] e a una biografia di Annemarie Wettley [91]. La sua vita costituisce un esempio tipico di un ragazzo che soffriva di senso d'inferiorità, che trovò una compensazione, e che divenne uno dei principali scienziati della sua generazione. La compensazione da lui trovata nella giovinezza era lo studio delle formiche, e in tale campo divenne probabilmente il massimo esperto mondiale. Il desiderio di Forel era quello di studiare le scienze naturali, ma egli, in base a considerazioni pratiche, scelse invece la medicina, e presto si fece notare per le sue scoperte nel campo dell'anatomia cerebrale: tali scoperte gli fecero ottenere la cattedra di psichiatria presso l'Università di Zurigo, incarico che comprendeva anche la supervisione dell'ospedale psichiatrico Burghölzli. In tale istituto egli portò una riforma, da tempo necessaria, e la sua riforma ottenne un tale successo che il Burghölzli acquistò rinomanza mondiale. Forel inizialmente apparteneva alla scuola degli organicisti, ma il suo atteggiamento attraversò una graduale modificazione. Egli si era chiesto perché gli psichiatri non riuscissero a guarire gli alcolisti, mentre invece alcuni profani ci riuscivano. Allora interrogò uno di tali profani, il calzolaio Bosshardt, e gli chiese quale fosse il suo segreto. Il calzolaio gli rispose: "Niente di strano, Herr Professor. Io sono astemio, mentre lei non lo è [92]." Questa risposta fece una profonda impressione su Forel, tanto che egli fece voto di astenersi dall'alcool, e da allora in poi anche lui riuscì a guarire gli alcolisti. Il fatto costituì il primo passo di Forel verso la comprensione che il segreto di una felice terapia risiedeva negli atteggiamenti personali dello psicoterapeuta. Il suo secondo passo in tale direzione fu la sua scoperta dell'ipnosi. Avendo sentito parlare dell'opera di Bernheim, egli partì subito per Nancy, dove rimase il tempo sufficiente per padroneggiare la tecnica del trattamento ipnotico: poi ritornò a Zurigo con tale conoscenza. Presto Forel divenne uno dei principali specialisti che si servissero del metodo ipnotico. Organizzò un servizio ambulatoriale in cui veniva praticato il trattamento ipnotico, con risultati felici, anche su pazienti che soffrivano di reumatismi e di varie altre affezioni organiche. Tra gli studenti di Forel ci furono Eugen Bleuler (1857-1939), che divenne il più importante psichiatra della Svizzera, e anche Adolf Meyer (1866-1950), che divenne il principale psichiatra degli Stati Uniti.

Eugen Bleuler [93] è noto universalmente per la teoria e la descrizione della "schizofrenia" (termine da lui coniato per sostituire il termine "demenza precoce", il cui significato originale era andato perduto) [94]. Non è possibile capire l'opera di Bleuler senza prendere in considerazione l'ambiente dei conflitti sociali e politici presente nel cantone di Zurigo nel diciannovesimo secolo. Eugen Bleuler nacque nel 1857 a Zollikon, allora villaggio di agricoltori e ora sobborgo di Zurigo. Gli antenati erano contadini, ma il padre era un mercante ed era anche l'amministratore della locale scuola. Il padre, il nonno e tutti i membri della famiglia conservavano ancora un vivo ricordo dei tempi in cui la popolazione contadina del cantone era sotto il dominio delle autorità della città di Zurigo, che ponevano pesanti restrizioni all'accesso dei contadini a taluni commerci, a talune professioni, e soprattutto all'educazione superiore. La popolazione contadina aveva una profonda coscienza di classe, e la mostrava a volte in modo aggressivo e rivoluzinario, altre volte in modo progressista, organizzando circoli di lettura e altre attività culturali. La famiglia Bleuler aveva preso parte alle lotte politiche che nel 1831 avevano portato i contadini ad acquistare l'uguaglianza di diritti e alla fondazione, nel 1833, dell'Università di Zurigo: l'università avrebbe poi esercitato un forte peso nel promuovere lo sviluppo intellettuale delle giovani generazioni della classe degli agricoltori. Molti professori stranieri furono chiamati a occupare le cattedre che non potevano essere occupate da cittadini svizzeri.

I primi professori che si erano recati a Zurigo per insegnare psichiatria erano tedeschi: Griesinger, Gudden e Hitzig. Essi furono anche i primi direttori dell'ospedale psichiatrico Burghölzli. Sorsero però delle lamentele perché queste personalità si occupavano più dei loro microscopi che dei loro pazienti, e perché non riuscivano a farsi capire dai pazienti in quanto parlavano solo l'alto tedesco e non avevano familiarità con il dialetto locale. Negli anni da lui passati nella scuola secondaria, Bleuler udì spesso questo tipo di lamentele da gente del suo ambiente. Decise così di diventare uno psichiatra capace di capire i malati mentali e di farsi capire da loro.

Appena ottenuto il diploma di laurea, Bleuler lavorò come interno al l'ospedale psichiatrico Waldau vicino a Berna, e lì mostrò un profondo interesse per i pazienti, piuttosto inconsueto. Poi lasciò questo incarico per andare a Parigi a studiare con Charcot e Magnan, viaggiò a Londra e a Monaco, e infine entrò a far parte del personale del Burghölzli, che allora era sotto la direzione di Forel. Nel 1886 Bleuler fu nominato direttore dell'ospedale psichiatrico Rheinau, un grande ricovero, abitato da anziani sofferenti di malattie mentali, che era considerato uno degli istituti più arretrati della Svizzera. Bleuler si dedicò al compito di riabilitare questo ospedale e si prese cura dei pazienti con un disinteresse personale notevole. Era scapolo, e viveva nell'ospedale passando tutto il tempo con i pazienti, dalla mattina presto alla notte, prendendo parte al loro trattamento con mezzi fisici, organizzando ergoterapie, e cercando di stabilire un forte contatto emotivo con ciascun paziente. Riuscì in tal modo a ottenere una singolare profondità di comprensione dei pazienti psichiatrici e dei dettagli più intimi della loro vita psichica. Da questa esperienza trasse il materiale del suo futuro libro sulla schizofrenia e del suo manuale di psichiatria.

Nel 1898, Bleuler fu scelto come successore di Forel a capo del Burghölzli. Tra i suoi doveri c'era anche quello dell'insegnamento: ciò gli fornì la possibilità di trasmettere agli studenti i risultati della sua esperienza all'ospedale Rheinau. Le lezioni da lui tenute divennero la parte centrale del suo famoso libro sulla schizofrenia, pubblicato alcuni anni dopo, nel 1911 [95]. Intanto continuava le sue ricerche, con l'aiuto di un gruppo di assistenti che, dopo il 1900, comprese anche C. G. Jung.

Poiché molte volte gli insegnamenti di Bleuler sulla schizofrenia sono stati male interpretati, è utile ricordare in questa sede le loro caratteristiche principali. Il punto di partenza fu il desiderio dello stesso Bleuler di capire una categoria di persone che non erano mai state capite prima, cioè la categoria degli schizofrenici. Nel corso dei dodici anni da lui passati al Rheinnn in contatto continuo con un gran numero ai pazienti, non solo aveva par lato con loro nel loro dialetto, ma aveva anche compiuto ogni possibile tentativo per comprendere il significato dei loro deliri e delle loro frasi "insensate". Così Bleuler aveva potuto stabilire un "contatto emotivo" (affektiver Rapport) con ogni singolo paziente. Questa tecnica clinica venne successivamente affiancata, al Burghölzli, da un'indagine condotta per mezzo del reattivo di associazione verbale, sotto la direzione di Jung. Più tardi ancora: le furono uniti i concetti psicoanalitici di Freud.

Basandosi sulle sue ricerche cliniche, Bleuler elaborò una nuova teorie della schizofrenia. A differenza delle teorie puramente organicistiche prevalenti a quell'epoca, Bleuler professava una teoria che oggi si chiamerebbe organicodinamica. Egli supponeva che la schizofrenia derivasse da una causa ignota (forse anche dall'azione di sostanze tossiche nel cervello) e che i fattori ereditari vi svolgessero una parte importante. Nel caos dei sintomi molteplici della schizofrenia, egli faceva una distinzione tra sintomi primari e fisiogeni, causati direttamente dall'ignoto processo organico, e sintomi secondari o psicogeni, prodotti dai sintomi primari. Probabilmente questa distinzione fu ispirata a Bleuler dal concetto janetiano di psicoastenia. Come Janet aveva isolato un disturbo fondamentale nella psicoastenia, cioè l'abbassamento della tensione psichica, così Bleuler, in modo molto simile, ritenne che i sintomi primari della schizofrenia fossero una perdita di tensione associativa, più o meno come si verifica nei sogni o nelle fantasticherie. Egli pensò che tutta la grande varietà dei sintomi secondari derivasse da quei sintomi primari, soprattutto dalle Spaltungen o scissioni tra le varie funzioni psichiche, ad esempio tra efficacia e intelletto, tra efficacia e volontà. L'autismo, cioè la perdita di contatto con la realtà, nella concezione originale di Bleuler era una conseguenza della dissociazione (solo successivamente gli studenti di Bleuler videro in esso il sintomo fondamentale della schizofrenia). A questo punto si potrebbe tracciare un curioso parallelo tra il concetto bleuleriano di schizofrenia e la teoria filosofica di Schlegel [96] che l'uomo non può stabilire una comunicazione con Dio, con la natura e con l'universo perché in lui c'è una scissione interna tra ragione, volontà e immaginazione; per Schlegel il compito della filosofia è ristabilire l'armonia all'interno dell'uomo. Tuttavia è piuttosto dubbio che queste idee di Schlegel influissero sulla teoria di Bleuler della schizofrenia, nonostante le somiglianze tra le due concezioni.

Dal punto di vista nosologico, il concetto bleuleriano di schizofrenia è più ampio di quello kraepeliniano di demenza precoce perché Bleuler include nella schizofrenia molte condizioni acute che prima erano state considerate disturbi specifici. Questo non era solo un artificio diagnostico: Bleuler affermava che, se i pazienti affetti da tali condizioni acute ricevevano le cure opportune, avevano delle buone probabilità di guarigione; mentre, se non le ricevevano o ricevevano un trattamento non adatto, molti di essi si sarebbero evoluti verso la schizofrenia cronica.

Il concetto bleuleriano di schizofrenia non costituiva solo una teoria nuova: esso, come ha sottolineato Minkowski, conteneva un'implicazione terapeutica [97]. Bleuler introdusse il concetto ottimistico che la schizofrenia poteva venire arrestata o fatta regredire ad ogni stadio della sua evoluzione e, in un'epoca in cui non esistevano i metodi di trattamento fisiologici e farmacologici, egli usò numerose tecniche che, secondo quanto affermano tutti coloro che lavorarono al Burghölzli in quegli anni, a volte ottenevano risultati miracolosi. Ad esempio, egli faceva dimettere in anticipo taluni pazienti che sembravano gravemente malati, o li faceva trasferire improvvisamente a un altro reparto, oppure dava al paziente degli incarichi di responsabilità. Aveva anche organizzato un sistema di ergoterapia, e aveva distribuito il tempo libero dei pazienti in modo che fosse il più possibile simile a quello di una comunità sociale all'interno dell'ospedale. Bleuler non fu l'unico psichiatra che negli anni tra il 1890 e il 1900 cercasse d'introdurre la comprensione psicologica e il trattamento dei pazienti psichiatrici; tuttavia fu probabilmente quello che ottenne i risultati migliori. Egli fu un pioniere nella direzione che più tardi fu seguita negli Stati Uniti da Adolf Meyer [98]. In Germania esperienze simili a quella di Bleuler furono condotte in molti ospedali psichiatrici e portarono gradualmente a miglioramenti che lasciavano sorpresi i visitatori stranieri. Nel 1906, Stewart Paton sottolineò l'ottimismo degli psichiatri tedeschi e fece le lodi degli istituti psichiatrici di Erlangen, di Würzburg, e di Monaco, affermando che costituivano esempi di ospedali psichiatrici modello [99]. Riferì anche la costituzione di servizi ambulatoriali e osservò il miglioramento da essi portato nella salute mentale complessiva della popolazione. Questi tentativi culminarono nella aktivere Therapie (terapia più attiva) di Hermann Simon, un metodo elaborato alcuni anni prima della prima guerra mondiale [100]. Era un sistema complesso di ergoterapia in cui veniva assegnato a ciascun paziente un compito particolare, con una data quantità di lavoro da compiere; essa aveva lo scopo di suscitare nel paziente il massimo miglioramento. L'effetto di questa terapia fu che i malati agitati scomparvero completamente dall'ospedale psichiatrico, e questo in un'epoca in cui non si conoscevano i trattamenti fisiologici e farmacologici. L'ergoterapia veniva anche praticata in istituti privati da Moebius, da Grohmann, e da altri nel trattamento dei nevrotici [101].

Un altro aspetto degli anni tra il 1880 e il 1900 fu la graduale elaborazione del concetto di una psichiatria dinamica. Il termine "dinamico" era comunemente usato in psichiatria, anche se assumeva una notevole quantità di significati, tale da comportare a volte anche confusione. I filosofi e i fisiologi l'avevano usato con significati che spesso non erano chiari, cosicché il dizionario della Società francese di filosofia ammoniva di non usarlo. Diceva il dizionario: "La parola dinamico è seducente per il suo aspetto scientifico, ma (specialmente come aggettivo) è una delle monete false che circolano maggiormente nel linguaggio filosofico degli studenti e degli scrittori pseudofilosofici [102]." Esaminiamo ora i vari significati assunti dal termine in neuropsichiatria.

1) Il merito di aver introdotto la parola va in generale a Leibniz, che la coniò in contrapposizione ai termini "statico" e "cinematico" e la usò nella meccanica. Il termine fu poi adottato da Herbart nel campo psicologico; Herbart distingueva gli stati di coscienza in statici e dinamici. Più tardi Auguste Comte lo introdusse nella sociologia, distinguendo la sociologia statica da quella dinamica. In fisiologia il termine era in uso fin dal 1802, e i magnetizzatori tedeschi parlavano generalmente di forze "dinamicopsichiche" [103]. Fu però soprattutto Fechner a sostenere il concetto d'energia psichica e, come vedremo avanti, durante la seconda metà del diciannovesimo secolo ci furono teorie sull'energia nervosa e sull'energia psichica modellate più o meno sulla teoria fisica dell'energia.

2) Tuttavia i fisiologi francesi avevano usato la parola "dinamico" per esprimere il concetto di "funzionale" come opposto a "organico". Macario scrisse uno studio sulle "paralisi dinamiche", molto citato [104]; con il termine "paralisi dinamica" egli intendeva una paralisi priva di lesioni del sistema nervoso. Più tardi Charcot insegnava la differenza tra paralisi "organiche" e "dinamiche"; il secondo gruppo comprendeva le paralisi dovute a isteria, a ipnosi, e a traumi psichici.

3) Un terzo significato fu introdotto da Brown-Séquard con la teoria delle "azioni dinamiche" nel sistema nervoso [105]. La stimolazione di una parte del sistema nervoso — egli affermava — poteva suscitare degli effetti in una delle altre sue parti, sia per "dinamogenesi" (stimolazione della funzione), sia per "inibizione" (diminuzione della funzione). Gli psichiatri presero ad applicare questi concetti ai fenomeni dei disturbi mentali, soprattutto alla nevrosi, spesso insieme ad altri concetti tratti dalla fisiologia cerebrale, come quello di "facilitazione" [106].

4) Intanto, il termine "dinamico" era stato applicato alla forza motrice delle immagini, concetto che probabilmente risaliva al filosofo Malebranche e ai suoi successori. Secondo De Morsier, il concetto venne trasferito dalla filosofia alla psichiatria da Esquirol, che aveva seguito le lezioni del filosofo Laromiguière dal 1811 al 1813 [107]. Il concetto fu poi adottato da Bernheim, che se ne servì come punto centrale della propria teoria della suggestione. Con il nome di "legge dell'ideodinamismo", egli espose la sua convinzione che "qualsiasi idea suggerita e accettata tende a farsi atto" [108].

Nel 1897, Aimé abbozzò una teoria della psicologia dinamica basata sulle dottrine di Brown-Séquard e della scuola di Nancy [109]. Egli fece la distinzione fra tre classi di disturbi nervosi: puramente organici; puramente dinamici (senza lesioni note); e condizioni intermedie (che oggi sarebbero chiamate organicodinamiche). Egli insegnò che le idee e le emozioni sono "fatti nervosi dinamici", cioè sono l'espressione di fenomeni di dinamogenesi o d'inibizione in talune strutture nervose. La vera diagnosi cerca di giungere a una valutazione delle parti assunte rispettivamente dai fattori organici e da quelli dinamici nella malattia. Ci sono due classi di trattamenti dinamici: quelli basati sull'inibizione e quelli basati sulla dinamogenesi. Tra questi vi sono la suggestione propriamente detta, la suggestione ipnotica, la "suggestione materiale" (ora chiamata placeboterapia), e infine i metodi di addestramento. L'autore attribuisce un ruolo particolarmente importante alla terapia dinamica, nel trattamento o almeno nell'alleviamento di molti disturbi psichici.

5) Infine, la parola "dinamico" acquistò un ulteriore significato che si riferiva al concetto di evoluzione e di regressione. Sembra che il primo ad applicare tali concetti alla psichiatria (senza però ancora usare il termine "dinamico") fu Moreau (de Tours), il quale insegnò che la malattia mentale costituisce un mondo a sé, fondamentalmente diverso dal nostro mondo e paragonabile al mondo dei sogni, anche se tutti i suoi elementi sono tratti dal mondo reale [110]. Il fatto fondamentale su cui poggia tale mondo di deliri e di allucinazioni non è la stimolazione di qualche funzione cerebrale, ma, al contrario, una modificazione che comporta una diminuzione delle funzioni intellettuali e uno sviluppo sproporzionato delle attività psichiche più antiche. Janet affermò sempre che la propria teoria dinamica aveva tratto ispirazione da quella che egli chiamava la "legge fondamentale della malattia mentale" di Moreau de Tours [111]. Henry Ey sottolineò molte volte l'originalità delle idee di Moreau [112]. Un concetto simile fu introdotto successivamente nella neurologia da Hughlings Jackson, che per primo lo applicò allo studio dell'afasia e dell'epilessia [113]. Jackson prese in considerazione l'evoluzione del sistema nervoso. Nel sistema nervoso umano, taluni centri sono comparsi in corrispondenza di una fase più recente dell'evoluzione, taluni altri centri sono comparsi in una fase evolutiva più remota. Quanto più recenti sono i centri, tanto più essi sono vulnerabili, e quando uno di essi ha subito danni, l'attività dei centri più vecchi aumenta. Da questa considerazione nasce la differenza che egli fa, nelle lesioni nervose, tra sintomi negativi (causati direttamente dalla lesione) e sintomi positivi (effetto della riattivazione delle funzioni di centri più antichi). In effetti, il termine "dinamico", nell'uso che ne fece Jackson, univa tra loro diversi significati tra quelli già assunti in precedenza. Esso designava l'aspetto fisiologico in contrapposizione con quello anatomico, quello funzionale in contrasto con quello organico, quello regressivo in contrasto alla condizione attuale, ed esprimeva nello stesso tempo l'aspetto energetico, compresi a volte anche gli aspetti di conflitto e di resistenza. Il concetto di Jackson, come oggi si sa, esercitò un notevole influsso non solo su neurologi come Head e Goldstein, ma anche sugli psichiatri: probabilmente su Freud, e certamente su Adolf Meyer, che era stato discepolo di Jackson a Londra nel 1891.

Psicologia e patologia sessuale, 1880-1900

Una delle caratteristiche dell'ultimo ventennio del diciannovesimo secolo fu il rapido progresso delle indagini sulla psicologia e sulla psicopatologia sessuali. Anche se il periodo non è molto lontano da noi, ci è piuttosto difficile farcene un ritratto preciso. La solita oleografia lo ritrae come un periodo d'ignoranza sessuale, di repressione, d'ipocrisia, che considerava "tabù" gli argomenti sessuali. Tuttavia, se si svolge un esame più attento, si può osservare come negli anni 1880 l'"ipocrisia vittoriana" fosse già, quasi completamente, una cosa appartenente al passato, anche se continuava a sussistere in alcuni ambienti borghesi "raffinati". L'immagine oleografica che oggi abbiamo di quel periodo deriva probabilmente dalla nostra insufficiente comprensione del fatto che l'etichetta sociale del periodo portava la gente a riferirsi agli argomenti del sesso in modo molto più discreto di quanto non si faccia oggi, e che taluni problemi, come quello dell'omosessualità, erano ignorati nelle conversazioni ed erano messi all'indice. La rimozione sessuale, una presunta caratteristica del tempo, spesso era solamente l'espressione di due fatti: la scarsa diffusione degli antifecondativi e il timore delle malattie veneree. La gonorrea richiedeva diversi mesi di cure molto dolorose, e la sifilide, di regola, continuava ad affliggere il paziente per tutta la vita, spesso rischiando di produrre una paresi generale. La sifilide fu causa di innumerevoli tragedie, rispecchiate nella letteratura da opere come Gli spettri di Ibsen, Les avariés di Brieux, e le poesie di Anton Wildgans. Tuttavia la letteratura non riusciva ad esprimere completamente l'orrore dei destini individuali quali effettivamente si presentavano. Il giovane Nietzsche, che a vent'anni si fermò una notte a Colonia, nel febbraio 1865, e fu portato senza saperlo in una casa di prostituzione, contrasse la sifilide e non venne mai curato. La malattia proseguì insidiosamente nel suo decorso, e lo portò alla paresi generale e alla catastrofe finale del 1889 [114]. Le malattie veneree erano tanto più pericolose in quanto la prostituzione era diffusissima, e in quanto le prostitute quasi invariabilmente erano contagiate, costituendo così potenziali fonti d'infezione. Oggi non si riesce a immaginare come apparisse mostruosa la sifilide alla gente dell'epoca; inoltre, al timore per sé si aggiungeva la considerazione che essa si trasmetteva con molta probabilità alla generazione successiva in forma di "sifilide ereditaria". A sua volta anche la sifilide ereditaria era divenuta un incubo; in un certo senso essa era anche un mito, e molti medici le attribuivano tutte le malattie d'origine ignota. Perciò, quando Freud ritenne che la sifilide ereditaria fosse una delle principali cause della nevrosi, egli non fece altro che rispecchiare un'opinione molto diffusa negli ambienti medici dell'epoca.

Un altro aspetto del periodo era la lotta per far riconoscere i diritti femminili. Il movimento femminista risaliva a Mary Wolstonecraft e ad alcuni rivoluzionari francesi della fine del diciottesimo secolo, ma il suo sviluppo era stato molto lento. Nel periodo tra il 1880 e il 1900, però, la lotta fu ripresa con un nuovo vigore, anche se molti contemporanei la ritenevano idealistica e priva di speranze concrete di successo. Tuttavia il movimento femminista portò a innumerevoli discussioni filosofiche sulla naturale uguaglianza o disuguaglianza dei sessi e sulla psicologia femminile. Nella discussione comparivano opinioni dei tipi più disparati.

L'opinione generale riteneva che l'uomo fosse naturalmente superiore alla donna, non solo nella forza fisica, ma nel carattere, nella forza di volontà, nell'intelligenza, e nella creatività. Nel 1901, lo psichiatra tedesco Moebius pubblicò un trattato sull'inferiorità fisiologica della donna; secondo Moebius la donna si trova fisicamente e psichicamente in una posizione intermedia tra il bambino e l'uomo [115]. La donna ha una natura più animale di quella dell'uomo; essa mostra un'assenza totale di facoltà critiche e di autocontrollo, ma ciò costituisce una fortuna perché, con le parole dello stesso Moebius: "Se la donna non fosse organicamente e psichicamente debole, risulterebbe estremamente pericolosa." E non mancavano uomini (e neppure donne) disposti a sottoscrivere questo tipo di opinioni. Ancora all'inizio del ventesimo secolo, l'inferiorità della donna era data generalmente come assunto, e l'unico problema su cui verteva la discussione a tale riguardo era quello della causa dell'inferiorità. Il tema opposto, quello della naturale superiorità della donna, era proclamato solo da poche appassionate femministe, e nessuno si sarebbe mai aspettato che successivamente ci sarebbero stati anche uomini disposti a sostenerlo [116].

La tesi della naturale uguaglianza tra i sessi veniva affermata dalla maggior parte delle femministe, che ribattevano alla tesi della minore creatività della donna affermando che tale inferiorità intellettuale era dovuta ai secoli di oppressione maschile. In tali discussioni venivano citati come prova gli scritti di Bachofen, soprattutto dal socialista Bebel che richiedeva esattamente gli stessi diritti e gli stessi doveri per gli uomini e per le donne, e che a entrambi i sessi venisse data uguale istruzione. Una terza tesi era quella di una differenza qualitativa piuttosto che di una superiorità o inferiorità; questa tesi riteneva che i due sessi fossero psicologicamente complementari. A tale teoria si unì alcune volte la teoria della fondamentale bisessualità degli esseri umani. Era il vecchio mito romantico dell'androgino, ritornato alla luce con indosso il mantello della psicologia. Michelet aveva già affermato che: "L'uomo e la donna sono due esseri incompleti e relativi, in quanto essi non costituiscono che le due parti dello stesso tutto [117]." Questa teoria stava attraversando una reviviscenza in varie forme.

È interessante notare che ciascuno dei tre grandi pionieri, Freud, Adler, e Jung, adottò successivamente una di queste tre teorie. Freud sembra aver dato come assunto la naturale inferiorità della donna, in quanto, in uno dei suoi primi scritti, egli partì dall'ipotesi che la maggiore quantità di rimozioni sessuali nella donna costituisse la causa della sua inferiorità intellettuale. Più tardi, egli parlò anche del naturale masochismo della donna. Adler invece fu sempre un sostenitore della teoria della naturale uguaglianza dei sessi. Per quanto poi riguarda Jung, è ovvio come la sua teoria dell'Anima nell'uomo e dell'Animus nella donna si colleghi alla terza affermazione.

Nell'ultimo ventennio del diciannovesimo secolo, questo tipo di discussioni fece sorgere varie concezioni: molte di tali concezioni trovarono il modo di entrare nelle teorie degli psichiatri dinamici successivi. Una concezione che ebbe molta fortuna affermava che l'uomo, invece di vedere la donna quale essa effettivamente è, proietta su di lei immagini che si possono classificare in tre categorie: 1) l'ideale immaginario; 2) immagini tratte dal proprio passato; e 3) quelle che si potrebbero chiamare immagini archetipiche. E. T. A. Hoffmann, Achim von Arnim, e altri romantici avevano già ritratto diffusamente il carattere fantastico e illusorio dell'immagine dell'amata come la vede l'innamorato, e avevano parlato delle conseguenze pericolose di tali deliri. Il conflitto tra la donna illusoria e quella reale sarebbe poi stato usato da Spitteler come tema del romanzo Imago, un romanzo molto ammirato da Freud e da Jung, che con il suo titolo fornì alla psicoanalisi uno dei termini favoriti del suo vocabolario [118]. Un altro tema era quello dell'influsso duraturo del primo amore, dimenticato o no. Nei Discepoli di Sais Novalis aveva già narrato la storia di un giovane che vaga di luogo in luogo, cercando l'oggetto delle sue visioni, e che arriva infine al tempio di Iside: qui l'oggetto gli viene rivelato ed egli riconosce in esso il suo amore d'infanzia [119]. Il tema di questo romanzo anticipa quello della Gradiva di Wilhelm Jensen, un romanzo molto ammirato da Freud che gli dedicò un commento [120]. Per altri come Nietzsche la figura guida ideale derivava da quella della madre. Karl Neisser affermò che per essere amata da un uomo, una donna deve assomigliare alle sue progenitrici, cioè a quelle donne che nel passato hanno saputo destare l'amore dei suoi antenati [121]. Ciò che Neisser spiegò in un centinaio di pagine di linguaggio psicologico, fu espresso da Verlaine nel bellissimo sonetto II mio sogno favorito, e questo concetto non è molto lontano dal concetto junghiano di Anima. Un terzo tema favorito era quello che l'uomo proietti sulla donna una delle numerose immagini precostituite che egli porta in sé: l'immagine del semplice oggetto sessuale, quella della donna fatale, quella della musa, quella della vergine-madre; queste figure appartengono a quelli che più tardi Jung chiamò archetipi. Alcuni di questi archetipi, in quel periodo, furono oggetto di molte discussioni.

Una di queste figure archetipiche (o Frauenphantome, come erano chiamate nei Paesi di lingua tedesca) era quella della donna come semplice oggetto sessuale, un'immagine che poteva risalire alle concezioni di Lutero e di Schopenhauer, e che allora riviveva negli scritti di Laura Marholm: scopo della donna è appagare i desideri dell'uomo, e questo è l'unico significato della sua vita [122]. L'idea sarebbe stata sviluppata e portata al suo estremo da Weininger nel noto libro Geschlecht und Charakter (Sesso e carattere) [123]. Egli affermava che la donna non possiede né intelligenza, né carattere, né alcuna relazione con il mondo delle idee o con Dio. La donna è un individuo ma non una persona; la sua essenza è il sesso; essa è una prostituta nata e, diventando vecchia, cerca di far prendere la stessa strada ad altre donne più giovani. Il libro di Weininger ebbe un enorme successo e fu molto apprezzato da diversi importanti scrittori dell'epoca.

Un altro "fantasma" o archetipo era quello della musa, vale a dire quella che i francesi chiamavano la femme inspiratrice: un tipo di donna che spesso esercitò una funzione molto importante nella vita e nell'opera di scrittori e di pensatori [124]. Le biografie degli autori venivano divise in periodi secondo le donne che lo avevano ispirato successivamente. C'erano numerosi tipi di inspiratrices, che andavano dalla aventurière, che cercava relazioni amorose con uomini famosi, all'idealista che cercava amicizie platoniche con pensatori di cui poteva essere, secondo le volte, la discepola, la collaboratrice spirituale, o la protettrice. Una famosa femme inspiratrice fu Malwida von Meysenbug, una donna, appartenente a una famiglia aristocratica della Germania, che si rifugiò in Inghilterra a causa delle sue idee democratiche, che abitò in Francia e in Italia, e che svolse un ruolo importante nella vita di Alexander Herzen e di Richard Wagner [125]. I suoi ricordi descrivono una galleria impressionante di uomini illustri: patrioti e rivoluzionari, compositori, romanzieri e drammaturghi, filosofi ed eruditi [126]. Essa fu colei che presentò Nietzsche a un'altra femme inspiratrice, più giovane: Lou Andreas-Salomé, la quale doveva poi svolgere un ruolo importante nella vita di tutta una serie di grandi uomini, da Nietzsche a Rilke. Essa terminò poi la sua carriera come psicoanalista.

Anche la donna fatale era un "fantasma" molto celebre. È quel tipo di donna che distrugge il genio di un uomo, o che lo porta alla morte. A volte è ancor più pericolosa perché appare camuffata da musa ispiratrice, come la Rebekka del dramma di Ibsen Rosmersholm. Non molto diverso da lei, ma di carattere leggermente più ambiguo, è quel tipo di donna che Jung chiamò la Anima-Figur: egli ne vedeva un esempio letterario nella Ayesha del romanzo La donna eterna di Rider Haggard. È il tipo di donna che risulta affascinante agli occhi maschili; essa potrebbe facilmente distruggere l'uomo, ma i suoi incantesimi non sono insormontabili, come si vede nella storia d'Ulisse e della maga Circe.

Un'altra figura archetipica, quella della Vergine-madre, fu definita da Ria Claassen come la donna che aiuta l'uomo a "spiritualizzare e a sublimare" le sue pulsioni più basse [127]. Un ruolo come questo è svolto dall'immagine della Madonna nella vita spirituale dei monaci cattolici, o dall'immagine di Beatrice in quella di Dante.

Un curioso prodotto letterario di queste preoccupazioni per le figure femminili si trova nel romanzo Eva futura di Villiers de l'Isle-Adam, in cui si possono ravvisare diversi archetipi femminili [128]. C'è la vamp Evelyn, che seduce un onesto padre di famiglia e lo porta alla rovina e al suicidio. C'è Alicia, la donna bellissima ma sciocca e volgare. C'è una donna fantoccio, costruita da Thomas Edison in maniera da assomigliare fisicamente in modo perfetto ad Alicia; il suo vuoto interiore è riempito dallo spirito di una donna morta, Hadaly, che sarà la femme inspiratrice del protagonista del romanzo. È piuttosto indicativo dello spirito del periodo il fatto che l'autore ricorresse anche a temi di personalità alternante e di spiritismo nello scrivere questo tipico capolavoro della fantascienza del 1886.

Mentre si stavano svolgendo tutte queste discussioni psicologiche sui due sessi, i biologi stavano cercando dei modi nuovi per affrontare lo stesso problema nei loro laboratori. Progressi decisivi erano stati compiuti verso il 1830 quando Baer in Germania e altri scienziati dopo di lui avevano scoperto e chiarito il problema dell'ovulazione. In Francia Michelet sottolineò l'importanza di queste scoperte per la comprensione della psicologia della donna e le volgarizzò in un tono leggermente romantico [129]. Più tardi, negli anni 1880, quando i fisiologi stavano incominciando a gettare le fondamenta della endocrinologia, il fisiologo settantaduenne Brown-Séquard lesse, il 1° giugno 1889, una relazione alla Società di biologia di Parigi sugli effetti sull'uomo di iniezioni sottocutanee di una sostanza estratta dai testicoli di cavie e di cani [130]. Egli riferì di avere somministrato una serie di otto iniezioni di tale sostanza a un vecchio e di avere ottenuto come risultato uno straordinario ringiovanimento fisiologico e psicologico. Il soggetto era lo stesso Brown-Séquard, e gli ascoltatori che lo conoscevano di persona non poterono far altro che testimoniare come egli apparisse ringiovanito di vent'anni. Si sapeva da secoli, dall'esempio degli eunuchi e delle voci bianche, che le ghiandole sessuali maschili contenevano una sostanza che esercitava una forte azione sull'organismo maschile e che, tra le altre cose, era legata all'aggressività. Ora veniva data una prova dell'azione "dinamogenetica" di quella secrezione ghiandolare; più tardi ne sarebbe venuta una conferma ulteriore dalla scoperta dell'ormone maschile. Brown-Séquard sottolineò il parallelismo tra il fenomeno fisiologico e gli effetti psicologici. A questo fatto si potrebbe forse anche collegare l'origine della teoria freudiana della libido, che inizialmente era stata concepita come un fenomeno psicobiologico basato su una sostanza chimica sconosciuta.

Il modo psicologico di accostarsi allo studio dei fenomeni sessuali diede i suoi frutti, ma a questo proposito sono necessarie due osservazioni. Per prima cosa, spesso nella storia della scienza si era già verificato che taluni fatti fossero ben noti agli scienziati di una disciplina e fossero invece completamente sconosciuti agli scienziati di altri campi. Taluni fenomeni, perfettamente noti ai ginecologi, risultavano ignoti ai neurologi; altri, noti agli educatori, erano sconosciuti ai medici. Come seconda cosa, c'è da notare la straordinaria resistenza offerta da talune idee erronee una volta che abbiano messo radici. Così, per tutto il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, furono comunissime talune idee false sui presunti pericoli della masturbazione: ad esempio la convinzione che potesse essere causa di lesioni gravi del midollo spinale e del cervello, o che producesse ebefrenia. Alla fine del diciannovesimo secolo queste affermazioni incominciarono a venire sottoposte a indagini, ma continuarono ancora per molto tempo a regnare nella letteratura popolare e in parte della letteratura scientifica. Si riteneva comunemente che la masturbazione fosse una delle cause principali della nevrastenia, e tale idea si trova perfino nei primi scritti di Freud.

Mentre in generale i medici consideravano la sessualità infantile come una rara anormalità, i sacerdoti e gli educatori l'avevano data per scontata già da molto tempo. Padre Debreyne, un teologo morale che era anche medico, sottolineava nelle sue opere la grande frequenza della masturbazione infantile, dei giochi sessuali tra bambini, e della seduzione di bambini, anche in tenera età, da parte di balie e domestiche [131]. Il vescovo Dupanloup d'Orléans, un educatore eminente, sottolineò ripetutamente nelle sue opere l'estrema frequenza dei giochi sessuali tra bambini, e affermò che la maggior parte dei bambini acquisiva le "brutte abitudini" tra gli uno e i due anni [132]. Idee simili erano state esposte in modo brillante da Michelet in opere da lui scritte per l'educazione popolare. In Nos fils egli metteva in guardia i genitori dai pericoli di quella che oggi si chiamerebbe sessualità infantile, e dal complesso edipico [133]. Egli citava con approvazione sia gli antichi scritti ebraici che raccomandavano al padre di tenere una certa distanza nei confronti delle figlie, sia i moralisti cattolici che raccomandavano alle madri di comportarsi nello stesso modo nei riguardi dei figli. Michelet affermava che la scienza moderna confermava la saggezza di tali comandamenti, e mostrò come il bambino sia già uomo fin quasi dalla nascita: "Anche se non ne ha la forza, egli ha però le pulsioni e i sogni di una vaga sensualità." I bimbi in fasce possono già mostrarsi sensuali — egli affermava — e per questo la madre dovrebbe stare attenta a tale riguardo. Quasi sempre l'infante è geloso dei fratelli e del padre. Michelet descrisse con molta perspicacia il modo in cui il bambino piccolo simula il sonno allo scopo di osservare con profonda attenzione le conversazioni e i rapporti intimi dei genitori. Se la madre ha l'abitudine di portare con sé a letto il bambino, si forma un legame "magnetico" tra loro, da cui potrà derivare in futuro un grave pericolo per il bambino. Michelet metteva anche in guardia contro l'affetto incestuoso tra fratelli in giovane età, e affermava di avere osservato egli stesso almeno cinque o sei casi di famiglie stimate e ben note in cui tali affetti avevano dato gli amari risultati che si possono immaginare. Come molti contemporanei, Michelet avverte anche del pericolo di seduzione dei bambini piccoli da parte di domestici, e del pericolo della marcata preferenza della madre per uno dei figli. Le opere di Michelet ebbero un vasto pubblico, e dal suo esempio, come da quello di molti contemporanei, è chiaro che "la purezza angelica dei bambini piccoli" non doveva affatto essere una convinzione così generale come si tende a credere [134]. Anche lo studio medico e psichiatrico delle deviazioni sessuali compì progressi decisivi dopo il 1880, ma questo studio non costituiva certo una novità [135]. Per secoli se ne erano occupati i teologi morali: ad esempio nel diciassettesimo secolo con il De sancto matrimonii sacramento di Sànchez, un'opera monumentale le cui versioni ridotte erano note a molti parroci [136]. Nel diciottesimo secolo un'opera di Alfonso de Liguori aveva avuto un pubblico ancora pm vasto [137]. De Liguori taceva la distinzione, dal punto di vista teologico del peccato, fra gli atti commessi secondo natura, come lo stupro, l'adulterio, e l'incesto, e quelli commessi contro natura, come la sodomia e la bestialità. Una distinzione ulteriore era quella fra atti "consumati" e "non consumati" (che comprendevano tutta una gamma che andava dai pensieri impuri e dalle parole oscene al contatto fisico senza effettiva consumazione). Questa classificazione fu ampliata da padre Debreyne che, essendo anche medico, sviluppò l'aspetto psicologico del problema: egli dev'essere considerato come uno dei pionieri della patologia sessuale.

Rémy de Gourmont scrisse che la patologia sessuale deriva da due fonti principali: le opere dei teologi morali cattolici e le opere degli scrittori pornografici. Ma ormai era giunto il tempo in cui anche gli scrittori incominciavano a occuparsi di argomenti sessuali in modo obiettivo e non pornografico. Jean-Jacques Rousseau (1712-78) affermava di aver dato nelle sue Confessioni un resoconto completo e sincero delle più intime esperienze della sua vita, comprese esperienze sessuali riguardanti masturbazione, inibizioni sessuali, esibizionismo, e masochismo morale. Una generazione dopo, Restif de la Bretonne (1734-1806) descrisse il proprio feticismo in diversi romanzi, soprattutto in Monsieur Nicolas. Il marchese di Sade (1740-1814), che apparteneva a una famiglia aristocratica francese, era uno psicopatico dai costumi dissoluti ma dall'intelligenza brillante; egli, a causa di diverse trasgressioni, passò quattordici anni in prigione e tredici anni in un ospedale psichiatrico [138]. Egli dedicò quel suo periodo di ozio forzato a scrivere romanzi che per molto tempo sono stati considerati noiosissimi. Recentemente però si è incominciato a dire che Sade era un grande genio e un importante pioniere nella patologia sessuale. Tuttavia non bisogna dimenticare che egli aveva passato l'infanzia e la giovinezza presso uno zio, il ricco e dotto vescovo Sade. Se il giovane Sade aveva letto i trattati di teologia morale raccolti nella vasta biblioteca dello zio, aveva potuto trarre da essi buona parte di quei suoi concetti di patologia sessuale che oggi si presumono originali. Tra gli scrittori più vicini a noi, Leopold Sacher-Masoch (1836-95) descrisse le proprie tendenze anormali in numerosi romanzi, soprattutto in Venere in pelliccia [139]. Il protagonista del romanzo desidera ardentemente di essere umiliato dalla donna amata ed è morbosamente attratto dalle sue pellicce.

Un medico russo, Kaan, aveva intanto pubblicato un trattato in latino, Psychopathia sexualis, nel 1844,che descriveva brevemente le modificazioni del nisus sexualis o pulsione sessuale [140]. Anche uno psichiatra tedesco, Jakob Cristoph Santlus, aveva basato un sistema di psicologia e psicopatologia su una teoria delle pulsioni [141]. La fondamentale pulsione a esistere (Seinstrieb) veniva divisa da Santlus tra la parti animale e spirituale dell’uomo; da essa derivavano due pulsioni fondamentali: quella sessuale e quella spirituale. Queste due pulsioni attraversavano un processo di sviluppo, ma tra loro c'erano delle interazioni che comprendevano molte deviazioni; Santlus descrisse un certo numero di tali deviazioni. Tra le altre, egli sottolineava la relazione tra i deliri religiosi e le pulsioni sessuali. In Francia, Pierre Moreau (de Tours) scrisse un classico trattato sulle deviazioni sessuali [142]. Nel 1870, con il nome di "sentimento sessuale contrario", Westphal inaugurò lo studio psichiatrico obiettivo dell'omosessualità maschile [143].

Tuttavia l'onore di essere il fondatore della moderna patologia sessuale scientifica tocca al clinico austriaco Richard von Krafft-Ebing (1840-1902), già noto come eminente psichiatra forense. Nel 1866 egli pubblicò la sua Psychopathia sexualis, basata su molti casi clinici d'individui sessualmente anormali. Il libro ebbe un successo enorme e ne furono fatte numerose riedizioni, poiché Krafft-Ebing modificava il contenuto del libro e la classificazione delle anormalità sessuali da un'edizione all'altra. Fu lui a coniare i termini "sadismo" e "masochismo"; il primo in ricordo del marchese di Sade per designare quella deviazione in cui il piacere sessuale è associato con le crudeltà fisiche inflitte al partner; il secondo in ricordo di Sacher-Masoch per designare l'associazione tra il piacere sessuale e l'idea o il fatto di essere umiliato o maltrattato da una donna [144]. All'opposto di quanto si ritiene comunemente, Krafft-Ebing non parlava di dolore fisico a tale riguardo: invece egli affermava che il masochista detesta l'idea della flagellazione. Egli considerava la flagellazione come una condizione del tutto diversa, e non necessariamente collegata alla patologia sessuale. La prima classificazione di Krafft-Ebing della patologia sessuale distingueva quattro tipi di anormalità sessuale: 1) assenza di pulsione sessuale; 2) incremento patologico della pulsione sessuale; 3) periodo anormale di comparsa della pulsione sessuale (troppo presto o troppo tardi negli anni); 4) perversioni: sadismo, necrofilia, e "sentimento sessuale contrario" [145]. Nelle successive edizioni della Psychopathia sexualis egli modificò numerose volte la classificazione, giungendo infine a distinguere due gruppi principali di anormalità: il primo in funzione dello scopo (sadismo, masochismo, feticismo, ed esibizionismo), il secondo in funzione dell'oggetto (omosessualità, pedofilia, zoofilia, gerontofilia, e autoerotismo). Krafft-Ebing fornì un impulso vigoroso allo studio della patologia sessuale, e dopo il 1880 apparvero in numero sempre crescente studi sull'argomento, soprattutto in Germania. Nel 1899 Magnus Hirschfeld fondò il primo periodico specializzato in quel campo, lo "Jahrbuch für sexuelle Zwischenstufen" (Annuario delle fasi sessuali intermedie), e fu il primo a compiere una distinzione radicale tra omosessualità travestitismo. Tra gli altri studi ci furono quelli di Ivan Bloch, Löwenfeld Marcuse, Moli, e quelli degli antropologi tedeschi sulla psicopatologia sessuale comparata. In Francia, Lasègue aveva già presentato il primo studi psichiatrico sull'esibizionismo nel 1877 [146]. Alfred Binet coniò la parola "feticismo" in uno studio estensivo dedicato a tale deviazione [147]. Un degli allievi di Charcot, Chambard, parlò per la prima volta delle zone erogene nel 1881; il termine fu adottato anche da Krafft-Ebing, e successivamente entrò nella psicoanalisi [148]. In Inghilterra, Havelock Ellis ottenne la notorietà soprattutto per la sua grande compilazione The Studies on the Psychology of Sex (Studi sulla psicologia del sesso).

Questi studi di Krafft-Ebing e di altri fecero sorgere un interesse profondo che presto giunse anche al vasto pubblico che, come abbiamo detto, aveva già a disposizione un gran numero di romanzi sull'argomento de sesso. Contrariamente a quanto afferma la leggenda odierna che vorrebbe fa credere che in quei giorni vigesse l'oscurantismo sessuale, sul continente europeo non c'era nulla che frenasse la pubblicazione, la distribuzione, o l'accesso a tali libri. Quella fu l'epoca in cui anche i libri divulgativi sugli argomenti sessuali incominciarono ad apparire dappertutto. In Germania, ad esempio, un libro di Bölsche sulla storia naturale del sesso, che descriveva nei dettagli le molteplici varietà dei processi riproduttivi in tutto il regno animale, divenne un best seller [149]. È vero che sorsero numerose critiche contro questo eccesso di letteratura sessuale, ma oggi non si comprende correttamente il significato di tali critiche. Moritz Benedikt riferisce che alla pubblicazione della Psychopathia sexualis di Krafft-Ebing, egli dovette convincere il comitato della British Medico-Psychological Association a non abolire l'iscrizione onoraria di Krafft-Ebing presso tale associazione [150].Tuttavia l'accusa rivolta a Krafft-Ebing non riguardava il fatto di avere pubblicato il libro, ma quello di non avere provveduto a evitarne la vendita indiscriminata. Benedikt fece notare che: "...oggi, sulle perversioni sessuali, le studentesse delle scuole superiori ne sanno più di quanto non ne sapessimo noi appena laureati". Benedikt dice anche che Mantegazza, un insegnante italiano, aveva pubblicato un libro sugli argomenti sessuali; anche questo libro era diventato un best seller ed era stato tradotto in numerose lingue straniere. L'autore si giustificava dicendo che, a causa del suo stipendio esiguo d'insegnante, era stato costretto a trovare altre fonti di reddito. Ovviamente, fin dall'inizio la linea di demarcazione tra la divulgazione scientifica e la pornografia risultò difficile da determinare. Un'altra critica mossa da Benedikt e da altri ai nuovi "sessuologi" era che essi stavano creando una specie di "romanticizzazione" delle perversioni sessuali. Mentre nel passato le persone affette da deviazioni sessuali erano considerate alla stessa stregua dei fuorilegge, ora esse venivano invece ritratte come persone che dovevano patire sofferenze incredibili. Anche in questo caso, non era sempre facile determinare la linea di demarcazione tra gli scritti degli psichiatri professionali e quelli dei deviati sessuali intenti a perorare la propria causa.

Un argomento che a quell'epoca destò molte polemiche fu quello dell'origine delle deviazioni sessuali: erano innate o acquisite? Anche qui si può vedere come le diverse opinioni rispecchiassero i diversi campi di attività di coloro che le manifestavano. Per gli educatori il problema era semplice: essi ritenevano che l'omosessualità fosse il risultato, quasi inevitabile, di talune condizioni sfavorevoli che si verificano tra gli adolescenti o tra i giovani. Lo stesso discorso valeva per l'esercito, per la marina, e per le prigioni. Krafft-Ebing, che come esperto forense doveva esaminare i casi più gravi di anormalità sessuale comparsi in tribunale, e che era influenzato dalla teoria della degenerazione di Morel e Magnan, era portato ad attribuire le più gravi perversioni sessuali a un'origine costituzionale. All'inizio questa opinione venne condivisa da molti psichiatri, però incominciò anche a guadagnare terreno il concetto che anche le cause psicologiche potessero dar luogo a perversioni sessuali. L'origine di molte perversioni venne ricondotta a un avvenimento specifico dell'infanzia. Rousseau aveva già descritto come le sculacciate ricevute da una giovane donna, a otto anni, fossero state il punto di partenza della sua deviazione sessuale. Binet, senza negare l'importanza della predisposizione, osservò nella storia del suo feticista un fatto occasionale che aveva conferito a tale perversione la sua caratteristica forma. Nel 1894, Fere riferì di due donne che da piccole avevano subito carezze sessuali da domestici, senza conseguenze immediate, ma che, successivamente, a causa di stress occasionali, avevano manifestato una deviazione sessuale [151]. Fere riteneva che la stessa cosa si potesse verificare in casi di seduzione sessuale infantile. Nel 1901, Moli sottolineò il pericolo delle punizioni corporali per i bambini piccoli, avvertendo che potevano dare luogo a una stimolazione sessuale sia nell'insegnante, sia nei compagni che assistevano alla punizione, sia anche nel bambino punito, su cui potevano avere effetti duraturi [152].

Theodor Meynert mostrò come si potesse verificare l'insorgenza di deviazioni sessuali a causa di talune situazioni interpersonali della prima giovinezza [153]. La sua esperienza clinica — egli affermava — lo aveva portato a scoprire che l'omosessualità aveva sempre origine acquisita. Come esempio riferiva la storia di un uomo che si sentiva attratto dal proprio sesso: la madre del soggetto era rimasta vedova quando era ancora giovane, e aveva l'abitudine di invitare vari giovani della stessa età del figlio a tenergli compagnia. La madre, tuttavia, non riuscì ad evitare che il figlio si accorgesse dei sentimenti erotici da lei provati nei loro riguardi. Per il semplice fatto di seguire l'esempio della madre, egli così scoprì che incominciava a sentirsi attratto dal proprio sesso. Meynert riferisce anche la storia di un necrofilo la cui deviazione aveva avuto origine dal fatto di avere lavorato in un obitorio: lì aveva provato per la prima volta stimolazioni sessuali alla vista di cadaveri femminili nudi.

Incominciò a diventare dominante l'idea che i disturbi sessuali potessero derivare da cause psicologiche inconsce, le cui origini andavano cercata nell'età infantile. Dallemagne parlò di risvegli sessuali transitori all'età di cinque o sei anni; essi davano luogo ad associazioni che a loro volta formavano il sostrato inconscio delle azioni e delle disposizioni [154]. Ribot, nel 1896, fornì una classificazione dei disturbi sessuali basata sulla loro origine: 1) cause anatomiche e fisiologiche; 2) cause sociologiche (comunità chiuse di uomini); 3) cause psicologiche inconsce del tipo descritto da Dallemagne: in esse si esprimeva l'azione di una sottopersonalità inconscia che dirigeva la personalità conscia; e 4) cause psicologiche consce (l'immaginazione, che operava su un tema erotico come poteva operare su un tema artistico o scientifico) [155].

Il fatto di postulare una psicogenesi delle perversioni sessuali indusse a tentativi di trattamento per mezzo della psicoterapia, come si verificò nel caso di un paziente di Charcot e Magnan, il quale, a sei anni, aveva osservato alcuni soldati mentre si masturbavano; da allora in poi era sempre stato stimolato solamente dalla vista di uomini e non aveva mai mostrato alcun interesse verso le donne [156]. Il trattamento fu costituito dalla sostituzione di una fotografia di una donna nuda al posto di quella di un uomo; dopo alcuni mesi il paziente riuscì ad avere anche dei rapporti soddisfacenti con una donna. Vent'anni dopo, Magnan pubblicò un seguito di quel caso: il paziente si era ormai convinto che la sua "ossessione" non fosse insormontabile, e dopo un notevole sforzo per crearsi delle nuove associazioni eterosessuali era stato capace di sposarsi; alla data di pubblicazione non aveva mostrato ulteriori ricadute nelle abitudini precedenti [157].

Nel periodo tra il 1880 e il 1900 crebbe notevolmente l'interesse per le manifestazioni contraffatte della pulsione sessuale, che erano già state sottoposte a indagini da Ideler, da Neumann, da Santlus, e da altri. L'importanza delle pulsioni sessuali nell'isteria era già data per certa da quasi tutti i medici, fino a Briquet, il quale come abbiamo già visto la negò espressamente nel suo manuale del 1859. Dopo Briquet, le opinioni sull'argomento furono controverse. A tale proposito si verificò una di quelle strane fratture che a volte si possono notare nella storia della scienza: mentre molti neurologi tendevano a seguire la concezione di Briquet e di Charcot, i ginecologi invece continuavano a credere nella psicogenesi sessuale dell'isteria. Abbiamo già descritto nel capitolo 3 come il ginecologo americano A. F. A. King, dopo aver accolto la teoria di Binet della personalità alternante nelle pazienti isteriche, affermasse che le due personalità erano l'"Io riproduttivo" e l"Io autoconservativo" [158]. Se una donna decideva di rispondere "no" alle esigenze delle funzioni riproduttive, allora era probabile che sopravvenisse l'isteria, a meno che i bisogni di attività della donna fossero completamente assorbiti dalla lotta per la sopravvivenza. Tuttavia tra i neurologi ce ne fu uno che non accettò la teoria di Briquet: Moritz Benedikt, il quale affermò nel 1864 che l'isteria dipendeva da disordini sessuali funzionali (non organici) [159]. Nel 1868 egli dimostrò la propria teoria con osservazioni cliniche sulla relazione tra l'isteria e i disordini della libido (con il significato che lui le dava), pubblicando quattro casi d'isteria maschile che venivano da lui attribuiti a maltrattamenti infantili, e affermando la necessità della psicoterapia in tali casi [160]. Nel 1891 e negli anni seguenti egli descrisse quella che venne da lui chiamata la seconda vita: l'esistenza e l'importanza di una vita segreta presente in molte persone, soprattutto nelle donne, e la funzione patogena dei segreti; egli affermava che quasi sempre tali segreti si riferivano a taluni aspetti della vita sessuale del paziente [161]. Egli fornì esempi di gravi condizioni isteriche guarite rapidamente dopo la confessione di tali segreti patogeni e la conseguente scomparsa dei problemi del paziente.

Per quanto riguarda l'altra nevrosi allora diffusa, la nevrastenia, la maggior parte degli specialisti credeva ancora che una delle sue cause più comuni fosse la masturbazione, ma incominciava anche a diffondersi la convinzione che ci fossero altre cause sessuali, ad esempio il coitus interruptus. Alexander Peyer, un medico di Zurigo, citò una decina d'autori che condividevano con lui tale opinione [162]. Peyer affermò anche l'esistenza di una particolare forma d'asma originata da vari disturbi della vita sessuale, in particolare dal coitus interruptus [163].

Un altro comune argomento di discussione erano le varie reazioni che si manifestavano quando le pulsioni sessuali non erano soddisfatte, oltre alla psicosi e alla classica nevrosi. Il criminologo austriaco Hans Gross dedicò a tale problema un'attenzione particolare, poiché egli riteneva che la frustrazione delle pulsioni sessuali potesse divenire, in determinati casi, il punto di partenza di azioni criminali; era perciò necessario che gli esperti giudiziari conoscessero le varie maschere dietro cui la sessualità celava il proprio volto [164]. Una di tali maschere — egli affermò — era la falsa pietà; un'altra era la noia, cioè un mondo interiore che non riusciva mai a colmarsi, per quanto fosse affaccendata la vita del soggetto. Una terza maschera veniva da lui descritta come la "vanità morbosa", e una quarta era costituita dal risentimento. Un argomento molto discusso era se l'astinenza sessuale potesse risultare dannosa. La maggior parte degli autori riteneva che lo fosse. Krafft-Ebing invece apparteneva a coloro che ritenevano che l'astinenza sessuale potesse essere dannosa solo per taluni individui predisposti; in tali individui gli effetti potevano andare da una leggera agitazione o insonnia alle allucinazioni [165].

Oggetto di altrettante discussioni erano le metamorfosi normali e quelle superiori della pulsione sessuale. È abbastanza strano che Gall, pur essendo colui che diede inizio alla psicologia basata sullo studio delle pulsioni, fosse contrario a tale idea e affermasse: "Chi oserebbe derivare da una condizione degli organi della riproduzione la poesia, la musica, e le belle arti? [166]". Nelle sue biografie dei grandi scienziati, Ostwald fece notare che la loro vita affettiva aveva avuto un'importanza minima, e non aveva esercitato alcun influsso sulle loro scoperte [167]. Ma Mecnikov, seguito dalla maggioranza degli autori, era convinto dell'importanza della sessualità nella creatività dei geni, e aveva raccolto molte testimonianze su tale problema [168].

Molti si spinsero ancora oltre e attribuirono origine sessuale al senso della bellezza. Espinas presentò una teoria secondo la quale il senso estetico aveva origine sia dalla competizione tra i maschi per conquistare le femmine per mezzo di piumaggi brillanti, di canti, di danze, sia dalla tendenza della femmina a rendersi attraente per il maschio [169]. Nietzsche affermò: "Ogni bellezza stimola alla generazione, e questo è il proprium del suo impulso, dall'essere più sensibile fin lassù, a quello più spirituale [170]." Steinthal riteneva che nel corso dell'ascesa dell'uomo dal regno animale, una parte della sua pulsione sessuale si fosse trasformata in senso della bellezza [171]. Moebius insegnò che tutto ciò che nella natura troviamo bello nasce dalla pulsione sessuale, e che lo stesso senso estetico mostra un diretto legame con tale pulsione [172]. Santayana insegnò che la pulsione sessuale si irraggia nella religione, nella filantropia, nell'amore della natura, e nel senso della bellezza [173]. Naumann sottolineò: "La fonte primitiva, onnipotente, dell'attività estetica e della gioia è la vita sessuale [174]. " Yrjö Hirn, con maggiore moderazione, considerò la pulsione sessuale come uno dei quattro fattori fondamentali da cui aveva avuto origine l'arte, e ritenne che l'erotismo fosse sia un mezzo di selezione dell'evoluzione, sia uno stimolante affettivo [175].

Rémy de Gourmont disse che né l'uomo né la donna erano belli di per sé, e la donna meno ancora che l'uomo; il fatto che il corpo femminile fosse divenuto l'incarnazione della bellezza era dovuto soltanto a un'illusione sessuale dell'uomo [176]. Insomma, il concetto dell'origine sessuale del senso del bello era quello predominante, e si accordava perfettamente con il quadro generale del periodo storico.

Quello fu anche il periodo in cui ebbero inizio le ricerche sugli stadi evolutivi della pulsione sessuale, sia nella storia della specie umana, sia nello sviluppo del singolo individuo. Nel 1894 Dessoir mostrò l'evoluzione della pulsione sessuale nei giovani [177]. C'era — egli disse — una fase di nondifferenziazione, seguita da una fase di differenziazione che poteva portare tanto, normalmente, all'eterosessualità, quanto, anormalmente, all'omosessualità. Disturbi di tale processo di differenziazione potevano produrre anormalità sessuali, ma il sentimento sessuale poteva anche rimanere in uno stato "embrionale" tale che l'individuo rimaneva incapace di discriminazione sessuale e poteva essere attratto da una qualsiasi forma calda e viva, anche da quella di un animale. Era importante saper riconoscere quando ci si trovava davanti a una effettiva omosessualità e quando invece si trattava solo d'individui rimasti a uno stadio di non-differenziazione: tali individui potevano venire attratti da entrambi i sessi. Albert Moli in un libro sulla libido sexualis ampliò il concetto di Dessoir di una fase sessuale indifferenziata precedente la pubertà e la fase di differenziazione [178]. Detto per inciso, la parola "libido" era molto usata dai medici dell'epoca: essi, con o senza molte attenzioni, amavano infarcire la loro terminologia di parole latine. Per loro "libido" significava semplicemente desiderio sessuale. Il termine era stato usato occasionalmente da Meynert [179], più frequentemente da Benedikt [180] e da Krafft-Ebing [181], ed era molto comune in autori meno noti come Effertz [182] ed Eulenburg [183]. Sembra sia stato Moli a fornirgli il più ampio significato di pulsione sessuale in senso evoluzionistico, e a tale riguardo Freud si riferisce a Moli.

Nel 1886 il filosofo francese Arréat avanzò il suggerimento che, proprio come l'atto sessuale non costituiva che un momento della pulsione sessuale stessa, anche la pulsione sessuale poteva essere una parte di una pulsione più generale [184]. Nella coppia marito e moglie c'è un cerchio di amore coniugale intorno a un nucleo di pura sessualità che è impregnato di sentimenti sessuali. Nell'amore dei genitori per i figli compare qualcosa di più che l'amore parentale; il padre è geloso della figlia, ancor più che la madre del figlio. Il fenomeno inverso si può osservare già nel bimbo, nell'avidità sensuale con cui il lattante succhia il petto materno o con cui i bambini piccoli baciano i genitori. Arréat riferisce il caso di una bimba di sei o sette anni che aveva l'abitudine di avvolgersi nelle camicie sporche del padre perché "avevano l'odore di papà". Egli cita anche osservazioni di Perez e di molti altri sul ruolo del sesso nei sentimenti affettivi di giovani fratelli e sorelle. Nei normali atti di educazione (e in particolare in quelli di un uomo verso una giovane donna) e in quelli di "pura amicizia" c'è sempre una componente sessuale. Il contributo della pulsione sessuale ai sentimenti sociali è molto considerevole, egli afferma. Entro tale prospettiva, le anormalità sessuali possono venire considerate, nel senso di Lombroso, come un arresto di sviluppo. Dalle considerazioni qui svolte, si può vedere come nell'anno 1900 la psicologia e la psicopatologia sessuali fossero già in piena fioritura da diverso tempo, e come avessero dato numerosi contributi che tendevano a organizzarsi in una nuova scienza della sessuologia.

Lo studio dei sogni

A causa dell'importanza che la teoria dei sogni e della loro interpretazione avrebbe acquistato successivamente nella psicologia dinamica, è giusto indagare sullo stato del suo sviluppo nel corso del periodo decisivo tra il 1880 e il 1900. A quell'epoca stava svolgendosi una rilevante quantità di ricerche sui sogni. Tuttavia, per comprenderne il significato, occorre tornare indietro di alcuni decenni.

Ricordiamo come il Romanticismo avesse attribuito ai sogni un'importanza notevole, e come quasi tutti i romantici o avessero complete teorie personali sul sogno, o ne avessero vari concetti personali non ancora organizzati; molti di questi autori sottolineavano il processo creativo dei sogni. Ennemoser [185] affermò che: "L'essenza del sogno è la vita potenziale di un genio." Troxler [186] giunse al punto di affermare che l'attività onirica era un processo fondamentale, più ancora che la vita nello stato di veglia; con queste parole egli sembra voler dire che il processo onirico che si svolge al di sotto dello stato di coscienza è un processo senza interruzioni che affiora alla coscienza solo quando dormiamo e sogniamo. Le idee romantiche sul sogno culminarono in Von Schubert, di cui abbiamo esposto brevemente la concezione nel capitolo 4.

Dopo il declino del Romanticismo, con l'era del positivismo si diffuse il concetto che i sogni fossero solo un prodotto secondario, privo di senso, dell'attività cerebrale automatica e non coordinata che si verificava durante il sonno. Fu però proprio in tale periodo che apparve l'opera di tre grandi pionieri dello studio del sogno: Scherner, Maury, e Hervey de Saint-Denis. La loro opera servì come base ad ogni successiva elaborazione della teoria dei sogni dal 1880 al 1900, e anche alle teorie dei sogni di Freud e di Jung.

Intanto, coloro che studiavano i sogni avevano elaborato gradualmente una serie di tecniche per le ricerche sui sogni; tali tecniche si basavano sull'osservazione dei sogni, sulla loro sperimentazione, e sul loro comando. Si scoprì che l'osservazione poteva essere condotta sia mentre ci si addormentava, sia quando si veniva destati dal sonno, sia quando ci si destava spontaneamente. Era importante rimanere fermi, appena svegli, allo scopo di meglio ricordare i propri sogni; i sogni poi dovevano venire scritti immediatamente su un apposito foglio che veniva tenuto accanto al letto. Hervey de Saint-Denis unì alla descrizione scritta anche il disegno dei propri sogni. Gli studiosi dei sogni osservarono che potevano facilmente acquisire un allenamento sufficiente a far loro ricordare i sogni nel modo necessario. Il metodo di produrre sperimentalmente sogni fu inaugurato da Maury, e quello di comandare i propri sogni da Hervey de Saint-Denis.

Il libro di Scherner, Das Leben des Traums (La vita del sogno) apparve nel 1861, e fu il primo e l'ultimo di una serie di otto libri che avrebbero dovuto descrivere altrettante scoperte nel campo dell'anima umana [187]. Il libro di Scherner non ebbe mai successo. Ad alcuni lettori non piacque il tono romantico con cui egli parlava dell'anima nell'introduzione: essa si manifesterebbe nei sogni "come l'amante all'amata". Altri lettori invece furono scoraggiati dall'aridità del testo principale, e da quella che essi consideravano un'esagerata tendenza alla classificazione. Se si aggiunge che il libro è estremamente condensato e che è molto raro, si capirà subito come mai oggi lo si legga così poco. Scherner incomincia la sua indagine con quella che oggi si chiamerebbe una fenomenologia del sogno. La luminosità nel sogno — egli afferma — è l'espressione di un modo chiaro di pensare, di una forza della volontà; le sfumature di grigio sono l'espressione di pensieri imprecisi. Egli descrive anche gli stadi del sogno nell'addormentarsi, nel sonno pieno, e nel risveglio. Per quanto riguarda l'organizzazione interna dei sogni, egli fa una distinzione tra la decentralizzazione (che oggi si chiamerebbe dissoluzione o regressione), e le manifestazioni positive della fantasia onirica. La sua idea principale è che l'attività psichica dei sogni si esprima direttamente in un linguaggio simbolico: da questo nasce la possibilità di interpretarli. Scherner propone anche un sistema d'interpretazione dei sogni, basato su una teoria molto plausibile che era il risultato di prolungate osservazioni obiettive.

Alcuni simboli sono determinati da una stimolazione spirituale, altri da una stimolazione corporea. I sentimenti religiosi si esprimono in forma di una rivelazione portata da un onorato maestro; i sentimenti intellettuali in forma di discussioni tra uguali; il senso di una diminuzione della vitalità in forma di una persona malata, e così via. Gran parte del libro di Scherner dedicata all'analisi dei simboli suscitati dalle sensazioni corporee. Tali simboli corrispondono a organi specifici, e non sono arbitrari ma vengon rivelati dall'esperienza. Scherner studiò la relazione tra i sogni e le malattie organiche di colui che sogna, e le modificazioni funzionali al momento del risveglio. Ad esempio, egli trovò che il sogno di volare era collegato a un incremento della frequenza di respirazione; che a volte i sogni in cui comparivano strade con traffico intenso esprimevano disturbi cardiaci o circolatori. Secondo Scherner, c'è un solo simbolo onirico fondamentale: l'immagine di una casa, espressione del corpo umano; le varie parti della casa rappresentano parti del corpo. Scherner riferisce la storia di una signora che, andata a letto con una violenta emicrania, sognò di trovarsi in una stanza con il soffitto tappezzato di ragnatele gremite di ragni grassi e disgustosi. Una decina di pagine del libro di Scherner è dedicata ai simboli che si riferiscono agli organi sessuali. Tra i simboli maschili egli cita le torri alte, le tubazioni, i flauti, i coltelli e le armi appuntite, i cavalli galoppanti, gli uccelli che volano via inseguiti; tra i simboli sessuali femminili, Scherner cita i cortili angusti e le rampe di scale su cui si è costretti a salire.

Dopo Scherner, numerosi autori, sia citando la sua opera, sia non citandola, trovarono gli stessi simboli in riferimento alle stesse parti del corpo [188]. Nella sua spiegazione dei simboli sessuali, Freud parla di Scherner; tuttavia i simboli di Freud sono unità di significato più astratte, e sono indipendenti dai disturbi fisiologici. L'opera di Scherner ebbe taluni sviluppi insospettati. Friedrich Theodor Vischer mostrò il parallelismo tra il simbolismo scherneriano e il simbolismo architettonico dei templi dell'antico Egitto e dell'India, che sembravano ideati come rappresentazioni simboliche del corpo umano. Recentemente, molte speculazioni di tale genere sono state dedicate al tempio di Luxor [189]. Il concetto di Scherner costituì anche il punto di partenza di un nuovo concetto estetico, espresso per primo da Robert Vischer e poi sviluppato da Friedrich Theodor Vischer [190]. Abbiamo la tendenza a proiettare (hineinversetzen) i nostri sentimenti corporei sulle cose, come è rilevato da talune frasi idiomatiche (ad esempio "un albero nano"), sia nello stato vigile sia nei sogni. L'empatia (Einfühlung) artistica si basa su un'oscura tendenza a unirci con altri esseri (in linguaggio moderno si direbbe che proiettiamo la nostra immagine corporea su altri esseri o su altre rappresentazioni).

Il classico libro di Maury Le sommeil et les réves fu pubblicato nello stesso anno di quello di Scherner, ma con la differenza che venne ristampato molte volte [191]. Maury compiva esperimenti su sé stesso con due metodi d'indagine. Primo, egli si era abituato a scrivere i propri sogni appena sveglio, dedicando molta attenzione a riferire tutte le circostanze che potevano avere dato luogo a ciascun sogno. Egli era stato colpito dalla grande sensibilità mostrata dai suoi sogni rispetto alle variazioni di alimentazione o ai mutamenti delle condizioni atmosferiche. Egli riteneva anche di avere osservato che le illusioni allucinatorie ipnagogiche fornissero 1'"embriogenesi" del sogno notturno. Secondo, compiva esperimenti di stimolazione sensoriale. Il suo assistente gli faceva annusare un profumo mentre dormiva, e Maury sognava di essere al Cairo, nel negozio di un venditore di profumi. Il suo assistente faceva un rumore dal timbro metallico, e Maury sognava di udire una campana a martello che annunciava lo scoppio della rivoluzione.

Maury comprese che la stimolazione sensoriale non era sufficiente a spiegare la maggior parte dei suoi sogni. D'altra parte, le lunghe osservazioni e le minuziose registrazioni dei propri sogni lo avevano portato a ridurre l'importanza delle parti effettivamente fantastiche e creative presenti nel sogno: egli aveva osservato che molte cose che credeva di avere immaginato in sogno erano solo ricordi dimenticati, che a volte risalivano all'infanzia. Maury riteneva anche che la velocità dei sogni fosse molto maggiore di quella del pensiero nello stato vigile.

L'opera di Maury inaugurò lo studio della stimolazione sperimentale rispetto ai sogni. John Mourly Vold, un norvegese, eseguì esperimenti su sé stesso e sui suoi studenti; in alcuni di tali esperimenti, al soggetto venivano legate le gambe: egli scoprì che ciò dava origine a sogni di movimento (il soggetto vedeva sé stesso o qualcun altro muoversi) [192]. Detto per inciso, questa divenne in seguito la base teorica del concetto di Rorschach di "risposte cinetiche" nel reattivo delle macchie d'inchiostro. Sante de Sanctis criticò gli esperimenti di Maury dicendo che l'attesa di fare taluni sogni era sufficiente per suscitare nel sognatore un sogno tale da confermare la teoria dello sperimentatore-sognatore; la stessa obiezione poteva essere rivolta a tutti gli altri che sperimentavano con i propri sogni [193].

Il terzo grande pioniere della psicologia del sogno fu il marchese Hervey de Saint-Denis (1823-92), che insegnava lingua e letteratura cinese al Collège de France. Il suo libro Les rèves et les moyens de les diriger, pubblicato anonimo nel 1867, è uno degli studi più estesi e più approfonditi che mai una persona abbia dedicato ai propri sogni [194]. Esso è anche uno dei libri più citati e meno letti in tutta la letteratura sul sogno, a causa del fatto che è estremamente raro: Freud affermò di non essere mai riuscito a trovarne una copia. La scarsità del libro è ancora più spiacevole perché esso contiene i risultati di tutta una vita dedicata all'indagine del sogno: risultati ottenuti da un uomo che tracciò nuovi sentieri dove pochi altri furono capaci d penetrare.

Nella prima parte del libro, Hervey de Saint-Denis riferisce che, a tredici anni, gli era venuto in mente di fare il disegno di uno strano sogno che aveva fatto la notte precedente. Il disegno gli era piaciuto, ed egli aveva incominciato a tenere un album nel quale disegnava i propri sogni. Si era anche accorto che la sua capacità di ricordarli aumentava, e che anche dopo sei mesi li ricordava quasi tutti. Si era però dedicato a questa sua attività in modo tale che non riusciva a pensare ad altro; accusava anche emicrania: per qualche tempo dovette sospendere le sue indagini. Poi le riprese e continuò per vent'anni ad annotare e a disegnare i propri sogni. Diceva di non avere perso neppure un sogno in tutto quel periodo; ne ricavò ventidue album che contenevano i sogni di 1946 notti. Hervey descrisse i vari stadi dell'addestramento da lui seguito per riuscire a dirigere i propri sogni. Aveva fatto il primo passo quando, pochi mesi dopo quel suo disegno iniziale, era diventato cosciente di stare sognando. Aveva fatto il secondo passo quando si era reso capace di svegliarsi a volontà allo scopo di prendere nota di taluni sogni molto interessanti. Il terzo passo consistette nel riuscire a concentrarsi a piacere su qualsiasi parte del sogno che desiderasse esplorare in modo più approfondito. Il quarto e ultimo passo fu la direzione volontaria di una parte dei propri sogni, pur riconoscendo che continuavano a sussistere talune limitazioni. Per fare un esempio, se Hervey desiderava vedere in sogno la propria morte, egli riusciva a sognare di salire in cima a una torre e poi di buttarsi giù, come voleva appunto sognare; tuttavia, proprio a questo punto scopriva di trovarsi tra la folla degli spettatori, mentre osservava un uomo che si era gettato giù dalla torre.

La seconda parte del libro di Hervey è dedicata a una rassegna critica delle teorie sul sogno che precedettero la sua; Hervey le integra con una quantità notevole di materiale tratto dalla propria esperienza onirica. La prima domanda che si pone è: "Da dove provengono le immagini oniriche? " Riguardo a ciò, Hervey conferma l'osservazione di Maury che la parte dovuta ai ricordi è maggiore di quanto si supponga. Come Maury, egli cita esempi di immagini oniriche che gli erano sembrate completamente nuove, ma che poi era riuscito per caso a riconoscere, in seguito, come ricordi dimenticati: immagini oniriche che erano soprattutto riproduzioni di clichés-souvenirs (che si potrebbe tradurre con "ricordi-istantanee"). Alla domanda: "Perché a volte i sogni appaiono confusi e assurdi?" Hervey risponde che la percezione che ritorna nel sogno può essere stata troppo rapida o insufficientemente chiara, cosicché la sua riproduzione nel sogno è anch'essa poco chiara e appare sfocata. A volte i sogni sono incomprensibili perché ci sono due o più clichés-souvenirs sovrapposti l'uno all'altro. Infine, a volte c'è un'"astrazione", vale a dire che una certa qualità viene tolta da un oggetto e viene attribuita a un altro oggetto. Il fenomeno, chiamato da Hervey astrazione e sovrapposizione, corrisponde a ciò che oggi chiameremmo spostamento e condensazione. Una conversazione tra varie persone, come spesso si verifica nel sogno, rappresenta secondo Hervey un conflitto interiore del sognatore.

Le immagini ricordo non risultano però sufficienti a spiegare tutto il materiale onirico, dice Hervey. Alla costituzione di tale materiale prende parte anche la fantasia creativa. Anche se una volta accenna a un problema scacchistico risolto in sogno, Hervey sottolinea soprattutto la capacità dei sogni di produrre immagini puramente fantastiche, e molti sogni da lui annotati possiedono effettivamente un grande valore poetico e artistico. In uno di ossi, Hervey guarda in uno specchio magico e vede sé stesso in forma di un giovane che pian piano invecchia fino a diventare un vecchiaccio orribile; a questo punto si sveglia impaurito. Un altro sogno anticipa curiosamente un episodio del romanzo di H. G. Wells L'uomo invisibile. Ancora più notevoli sono poi taluni sogni che nella terminologia junghiana godrebbero dell'appellativo di archetipici; al lettore odierno essi sembrano tratti di sana pianta da qualche scritto di Jung.

Anche Hervey fornì il proprio contributo allo studio sperimentale dei sogni. Mentre Maury si era limitato a compiere esperimenti su semplici stimoli sensoriali e sulle loro risposte, Hervey escogitò una tecnica di solidarité remémorative, vale a dire qualcosa di molto simile a un condizionamento pavloviano del sogno. Nel corso di una sua permanenza d'una quindicina di giorni in una località molto pittoresca della campagna francese, egli mise ogni giorno sul fazzoletto una goccia di un certo profumo; cessò poi di farlo al rientro a Parigi. Diversi mesi dopo, egli chiese al proprio assistente di mettere alcune gocce dello stesso profumo sul cuscino mentre dormiva. Ed effettivamente, dodici giorni dopo, egli sognò Vivarais, la località dove aveva trascorso le vacanze; al risveglio si accorse che nella notte il profumo era stato messo sul cuscino. Successivamente passò a esperimenti ancora più complessi. In una festa di ballo dove aveva danzato con due dame, egli aveva dato una mancia ai suonatori perché suonassero sempre un certo pezzo musicale quando egli era con una delle due dame, e un altro quando era con l'altra. Qualche tempo dopo, mentre dormiva, il suo assistente fece suonare a un carillon i due pezzi; egli osservò come ciascuno dei brani musicali gli suscitasse in sogno l'immagine della donna con cui l'aveva danzato.

Uno dei meriti di Hervey è quello di avere richiamato l'attenzione sulla plasticità del processo onirico. Tuttavia la tecnica da lui applicata per dirigere volontariamente i sogni era talmente complicata che non si trovarono molti che fossero disposti a imitarlo. Uno di quei pochi fu uno psichiatri olandese che era anche poeta, Frederik van Eeden; egli incominciò a studiare i propri sogni nel 1896, impiegando una tecnica simile a quella di Hervey. Come Hervey, di cui cita espressamente l'opera, anche van Eeder afferma che come primo passo egli divenne consapevole di stare sognando che successivamente acquistò la capacità di dirigere volontariamente i propri sogni. Dapprima egli raccolse le proprie osservazioni nel romanzo De Nacht-bruid (La sposa della notte) [195]. Aveva preferito rinunciare a pubblicare con il proprio nome le sue scoperte a causa del loro carattere poco ortodosso. Tuttavia ne fornì una relazione in uno scritto presentato a un incontro della Society for Psychical Research; in esso faceva una distinzione tra le due verse categorie di sogni; tra questi c'erano anche sogni demoniaci, in cui incontrava individui "demoniaci", vale a dire esseri non umani che parlavano e che agivano in modo indipendente e personale [196]. Egli faceva anche dei sogni lucidi o attivi, nei quali, dopo esserselo espressamente imposto, incontrava alcune persone defunte che aveva conosciuto in vita. Affermò che in un sogno attivo era riuscito a trasmettere un messaggio subliminale a un medium. Gli esperimenti di Hervey possono essere stati la fonte ispiratrice del romanzo di George du Maurier Peter Ibbetson, un successo degli anni 1890, in cui due amanti, costretti alla lontananza, riescono a incontrarsi ogni notte nei propri sogni e a esplorare insieme il mondo della loro infanzia, dei loro antenati, e dei secoli precedenti [197]. La vita onirica di Robert Louis Stevenson, della quale abbiamo già parlato nel capitolo 3, potrebbe venire definita come "diretta semicoscientemente" [198]. Egli riferiva di essersi fatto aiutare dalle "fate" per scrivere i propri romanzi. È strano che, dopo Hervey de Saint-Denis, la forza plastica dei sogni, conscia o inconscia, sia stata trascurata da coloro che studiarono i sogni, salvo pochissime eccezioni [199].

L'opera di questi tre pionieri, Scherner, Maury, e Hervey de Saint-Denis, dominò le ricerche nel campo dei sogni per i trentacinque anni successivi, e fino al termine del secolo. Durante quel periodo furono svolte numerose ricerche sui sogni da parte di autori che oggi per la maggior parte sono dimenticati perfino dagli storici della psicologia, eccetto che da Binswanger [200]. Strümpell, professore all'Università di Lipsia, si chiese perché il mondo apparisse così diverso nei sogni e nella vita vigile; la risposta da lui fornita era la seguente: "Quando ci svegliamo non riusciamo a collocare il nostro sogno né nel presente né nel passato, e perciò abbiamo la tendenza a cercarne il significato nel futuro [201]". Alla domanda: "Perché al sognatore il sogno sembra reale?" egli rispondeva che nel sogno l'anima costruisce uno "spazio onirico" in cui proietta immagini e ricordi che, nel momento in cui scompaiono sia la facoltà di operare distinzioni tra obiettività e soggettività, sia il senso della causalità, danno l'impressione di costituire delle percezioni reali. Al problema: "Perché tendiamo così facilmente a dimenticare i sogni? " Strümpell rispondeva indicando la debolezza, la dispersione, e la mancanza di coerenza della maggior parte delle immagini oniriche; secondo lui, la domanda giusta dovrebbe essere quella opposta: "Perché ne ricordiamo così tanti? ". Egli faceva notare che nei sogni assumevano un'importanza notevole le immagini verbali e i modi di dire.

Un libro di Volkelt, Die Traum-Phantasie (L'immaginazione onirica) criticò i precedenti studiosi dei sogni perché avevano dato troppa importanza ai processi onirici negativi e non ne avevano dato una sufficiente (unica eccezione: Scherner) all'elemento positivo, cioè alla fantasia onirica [202]. Essi attribuivano inoltre troppa importanza, secondo lui, al ruolo svolto dalle associazioni, e non abbastanza al fatto, mostrato da Scherner, che l'immaginazione onirica traduce direttamente in simboli le impressioni somatiche. Volkelt fornì numerosi esempi personali di sogni che confermavano i simboli già interpretati da Scherner. Invece di affermare, come avevano fatto molti romantici, che nel sogno l'anima sfugge ai legami che la uniscono al corpo, Volkelt affermò che, all'opposto, essa dipende dal corpo ancor più strettamente. La percezione generale del proprio corpo è molto diversa nei due casi del sogno e dello stato di veglia. Come è evidente, qui Volkelt affrontava già il problema della modificazione dell'immagine corporea nei sogni.

Nello stesso anno, 1875, venne pubblicato lo studio sui sogni di Friedrich Theodor Vischer; esso offriva un'analisi penetrante del processo con cui il sognatore si abbandona alle proprie immagini, ottenendo così la possibilità di vedersi rispecchiato in tali immagini [203]. Le idee di Scherner venivano sviluppate dal punto di vista della loro applicazione alle teorie estetiche.

Nel 1876 comparve lo studio di Hildebrandt sui sogni e sul loro possibile impiego nella vita reale [204]. Egli faceva una distinzione fra quattro possibilità. Primo, la bellezza di taluni sogni può risultare piacevole a colui che sogna. Secondo, il sogno fornisce al sognatore un'immagine ingrandita delle sue tendenze morali. Le parole bibliche: "Chi è adirato verso il proprio fratello è un omicida," trovano conferma in certi sogni in cui il sognatore commette un'azione immorale che poi lascia in lui un turbamento al suo risveglio. Approfondendo l'analisi, il sognatore può scoprire che il sogno costituiva la manifestazione di qualche incipiente pensiero immorale. Hildebrandt giungeva così alla conclusione che una persona perfettamente morale non dovrebbe mai sognare nulla di men che puro. Terzo, il sogno può permetterci la visione diretta di talune cose che nello stato vigile sono percepite in modo oscuro: ad esempio che c'è qualcuno che desidera fare del male al sognatore. Quarto, ci sono taluni sogni che annunciano una malattia, come quelli riferiti fin dal tempo di Aristotele, e ci sono taluni sogni che forniscono delle informazioni sulle condizioni fisiologiche dell'organismo, come quelli descritti da Scherner.

Tra l'altro, l'analisi hildebrandtiana sulla responsabilità morale del sognatore nei riguardi dei propri sogni fu ripresa successivamente da Josef Popper, il quale, in uno strano scritto, descrisse come, addormentato o desto, è pur sempre lo stesso individuo ad avere gli stessi pensieri e a mostrare gli stessi sentimenti: perciò, se in una persona c'è qualcosa di nascosto o d'impuro, i suoi sogni sembreranno privi di un senso definito o completamente assurdi [205]. Si può riconoscere in tale affermazione quel concetto che poi sarebbe divenuto la pietra angolare della teoria freudiana del sogno.

Binz, nel 1878, mostrò l'importanza di talune cause aventi natura chimica e perfino tossica nella genesi dei sogni [206]. Talune sostanze chimiche danno luogo a sogni specifici, come quelli prodotti dall'oppio, dall'atropina, dall'hascisc, dall'alcool, e dall'etere. Secondo Binz, coloro che avevano studiato i sogni in precedenza avevano dato troppa importanza agli aspetti psicologici e avevano praticamente quasi trascurato i fattori fisiologici presenti nella genesi dei sogni.

Un nuovo punto di vista fu introdotto da Robert [207]. Egli riteneva che la natura non facesse nulla che non fosse necessario. Poiché il sogno esisteva, esso doveva avere una funzione necessaria; quale poteva essere tale funzione? Robert postulava l'esistenza di un processo d'eliminazione che si verificava nel cervello: noi percepiamo come sogno la riflessione di tale processo d'eliminazione. Perciò non si tratta semplicemente del fatto che l'uomo ha la capacità di sognare, ma piuttosto del fatto che l'uomo ha la necessità di sognare allo scopo di eliminare le immagini che affaticano la sua mente. In particolare, ciò è quanto si verifica nel caso di percezioni poco chiare e di idee che non sono state elaborate completamente. L'eliminazione si verifica attraverso un processo cui Robert dà il nome di "lavoro onirico" (Traumarbeit); attraverso tale processo il materiale poco chiaro o viene incorporato nella memoria o viene eliminato. Le immagini eliminate sono percepite come immagini oniriche: esse sono i "trucioli della bottega della psiche". Un'importante conseguenza di questo principio è che "la persona cui fosse negata la possibilità di sognare, finirebbe prima o poi nella confusione mentale"; il tipo di confusione mentale a sua volta viene determinato dal tipo di preoccupazioni che non è stato eliminato mediante il sogno. Egli fa l'esempio di due negozianti: ciascuno ha ricevuto una lettera in negozio ma nessuno dei due l'ha aperta. Il primo negoziante sta attraversando un periodo di gravi difficoltà economiche, mentre invece il secondo l'ha appena superato. Essi si trovano quindi in due diversi atteggiamenti mentali, e tali due atteggiamenti si riflettono nei loro sogni. Ma se i due negozianti non potessero scaricare la propria mente nel sogno, il primo svilupperebbe deliri di persecuzione, il secondo svilupperebbe deliri di grandezza. Yves Delage, un biologo francese, dedicò molti anni allo studio dei sogni, fornendo un primo abbozzo della sua teoria nel 1891 [208]. Egli aveva dato inizio alla sua indagine da una prospettiva molto originale: quali sono le cose che non sogniamo? Egli trovò che le cose che occupano lungamente i pensieri durante la giornata non compaiono nei sogni, come pure non compaiono gli avvenimenti importanti della vita. Ad esempio, le persone innamorate non si sognano nei giorni che precedono il matrimonio, nel viaggio di nozze, o per qualche tempo dopo il matrimonio; solo successivamente, quando si saranno abituate ciascuna alla presenza dell'altra, ciascuna sognerà il coniuge. Alla domanda: "Che cosa effettivamente sogniamo?" egli rispondeva dicendo che la grande maggioranza dei sogni deriva da azioni e pensieri non completati e da percezioni elusive, soprattutto da quelli del giorno precedente (non sembra che Delage conoscesse le ricerche di Robert). Non è escluso però che i sogni possano venire suscitati da effettive stimolazioni somatiche come quelle descritte da Maury. La psicologia di Delage è di tipo dinamico ed energetico, come quella di Herbart. Le nostre impressioni — egli afferma — sono "accumulatori d'energia", in altre parole, ciascuna di esse ha la propria carica d'energia, ed esse si respingono o si inibiscono reciprocamente. Anche se nei nostri sogni dominano pensieri e immagini recenti e incompleti, le impressioni che hanno carattere di completezza possono riuscire ad affiorare quando possiedono una forte carica d'energia; questo è precisamente ciò che si verifica negli incubi. Tuttavia nel sogno c'è anche un'attività indipendente, che si svolge in ordine decrescente dal sogno a occhi aperti agli stati di "mezzo sogno", e dal sogno parzialmente volontario al sogno propriamente detto. Tuttavia il sogno non è costituito esclusivamente di immagini recenti che non hanno subito alterazioni. A tale riguardo, Delage cita due processi che erano già stati descritti da Maury e da Hervey de Saint-Denis. Il primo è la fusione di diverse rappresentazioni in una immagine sola, e il secondo è l'attribuzione di un'azione indifferente a un altro soggetto (in termini moderni, condensazione e spostamento). Inoltre, non solo i ricordi recenti, ma anche quelli più remoti possono affacciarsi nei sogni. Si scopre che i vecchi ricordi sono riportati sulla scena dalle loro associazioni con ricordi recenti, e a volte si possono ricostruire delle vere e proprie catene di tali associazioni (come aveva fatto Maury con le catene di associazioni verbali). Delage riteneva che catene di associazioni siffatte dovessero verificarsi all'interno dei sogni. Dalla breve rassegna che precede, si può scorgere come coloro che condussero ricerche sui sogni dal 1860 al 1899 avessero già scoperto quasi tutti quei concetti che sarebbero stati poi uniti in una sintesi complessiva da Freud e da Jung, e come avessero scoperto anche taluni concetti cui non sono state ancora dedicate sufficienti attenzioni. Nelle teorie di Freud si possono ravvisare influssi di Maury, di Scherner, di Strümpell, di Volkelt e di Delage. Per quanto invece riguarda Jung, la sua teoria dei sogni ricorda piuttosto Von Schubert e i romantici, e a volte mostra notevoli analogie con quella di Hervey de Saint-Denis.

L'esplorazione dell'inconscio

Negli ultimi decenni del diciannovesimo secolo, il concetto filosofico dell'inconscio, come appariva nelle dottrine di Schopenhauer e di Von Hartmann, era divenuto estremamente popolare, e la maggior parte dei filosofi contemporanei ammetteva l'esistenza di una vita psichica inconscia. Gli psicologi stavano intanto cercandone le prove scientifiche, e a tale proposito vennero compiuti dei passi decisivi negli anni dal 1880 al 1900. Anche per questo argomento dobbiamo retrocedere di diversi anni per poterlo inquadrare nel suo contesto esatto. La supposizione che una parte della vita psichica sfuggisse alla conoscenza conscia era già accettata da diversi secoli. Nel diciassettesimo e diciottesimo secolo il problema richiamò molta attenzione; nel diciannovesimo fu uno dei temi più dibattuti, fino a rivelarsi una delle pietre angolari della moderna psichiatria dinamica. Al tradizionale approccio speculativo adottato dai romantici, venivano ora uniti altri due modi di affrontare il problema: l'approccio sperimentale e quello clinico [209].

L'approccio speculativo era già stato adottato dai filosofi panteistici e dai mistici dell'India e della Grecia, dai Vedanta, da Plotino, da Dionigi l'Aeropagita, da molti mistici del Medioevo, da Boehme, da Schelling, dai filosofi della natura, da Schopenhauer, da C. G. Carus, da Von Hartmann. Tuttavia occorre osservare che col passare del tempo le argomentazioni di tali filosofi avevano sempre più assunto una natura psicologica. L'approccio speculativo era stato anche adottato da taluni filosofi psicologi. Era stato Leibniz il primo a proporre una teoria dell'inconscio sostenuta da dimostrazioni di natura esclusivamente psicologica [210]. Egli aveva posto l'attenzione sulle "piccole percezioni", cioè quelle che pur assumendo un'importanza notevole nella nostra vita psichica, sono al di sotto della soglia percettiva. Herbart prese da Leibniz il concetto di piccole percezioni e di soglia, ma vi introdusse anche talune considerazioni dinamiche [211]. Herbart immaginò la soglia come una superficie su cui una moltitudine di percezioni e di rappresentazioni eternamente mutevoli lottavano continuamente tra loro. Le più forti ricacciavano le più deboli al di sotto della soglia, e le rappresentazioni rimosse lottavano per riemergere: per riuscire a farlo, spesso si associavano con altre rappresentazioni. Immediatamente al di sotto della soglia, le rappresentazioni più umili e oscure costituivano una specie di coro che faceva da accompagnamento al dramma che si recitava sul palcoscenico della coscienza. Più al di sotto della soglia c'è poi la massa delle appercezioni: un lascio compatto e organizzato di rappresentazioni inconsce. Il fatto che una nuova percezione venisse conservata o no dipendeva dal fatto che essa si inserisse o no in modo corretto nella massa delle appercezioni e potesse così entrare subito a farne parte. Herbart diede una formulazione matematica della relazione delle forze che agivano tra percezioni. Anche se la sua teoria dell'inconscio era in gran parte speculativa, essa esercitò un influsso notevole sulla psicologia tedesca per tutto il corso del diciannovesimo secolo, fino a Griesinger e ai concetti psicoanalitici di Freud. Un modo biologico e speculativo di affrontare il problema fu adottato da Hering, il quale affermava che la memoria era una funzione generale della materia organizzata e che, oltre alla memoria individuale, c'era anche una memoria della specie: le pulsioni erano una delle manifestazioni di tale memoria della specie, e così pure gli istinti. Idee simili furono espresse in Inghilterra dal romanziere Samuel Hutler, e furono sviluppate successivamente da Richard Semon, Hans Driesch, od Eugen Bleuler.

Il modo sperimentale di affrontare lo studio dell'inconscio venne introdotto da Fechner con la psicofisica [212]. Allo scopo di verificare la sua ipolesi metafisica relativa al rapporto mente-corpo, egli diede inizio verso il 1850 a una lunga serie di esperimenti sulla relazione matematica tra l'intensità della stimolazione e l'intensità della percezione. Nel calcolo dell'intensità delle percezioni, egli attribuiva valori negativi alle intensità inferiori alla soglia percettiva. Tuttavia egli osservò che le maggiori differenze fra lo stato vigile e lo stato di sonno non corrispondevano a differenze d'intensità di qualche funzione psichica. Sembrava piuttosto che le identiche attività psichiche fossero esibite alternativamente in diverse scene teatrali su palcoscenici diversi (osservazione che avrebbe fornito il punto di partenza al concetto topico freudiano della psiche). Mentre Fechner e i suoi successori cercavano di misurare le percezioni inconsce, Helmholtz scopriva intanto il fenomeno dell'"inferenza inconscia": noi percepiamo gli oggetti non come essi impressionano i nostri organi di senso, ma "come essi devono essere" [213]. La percezione è un tipo di ricostruzione istantanea e inconscia di ciò che nel passato l'esperienza ci ha insegnato sull'oggetto. La percezione non solo completa e integra le sensazioni, ma compie su di esse anche un'opera di astrazione, conservando, dei dati dei sensi, solo le parti che sono utilizzabili per la conoscenza degli oggetti.

Un nuovo approccio sperimentale fu elaborato da Chevreul [214], che riuscì a mostrare come i movimenti della bacchetta del rabdomante e del pendolino del radioestesista derivino da movimenti muscolari inconsci del soggetto, originati da pensieri inconsci. Chevreul estese l'indagine anche ai movimenti delle tavolette mobili degli spiritisti: non erano gli "spiriti" a muoverle, egli disse, ma i movimenti muscolari inconsci dei partecipanti; nei pretesi "messaggi degli spiriti" si esprimevano solo i pensieri inconsci dei medium [215]. Il concetto di Chevreul di pensieri inconsci che si esprimono per mezzo di movimenti inconsci fu successivamente applicato ai fenomeni del "cumberlandismo" (vale a dire lettura del pensiero) e della scrittura automatica. Un altro approccio sperimentale venne introdotto da Galton con il reattivo d'associazione verbale. Egli scoprì che le risposte non erano date in modo casuale, ma che invece esse mostravano una notevole connessione con i pensieri, i sentimenti, e i ricordi del soggetto [216]. Tuttavia i successori di Galton trascurarono tale aspetto del reattivo di associazione verbale: fu poi Jung il primo a impiegarlo per scoprire rappresentazioni inconsce. Infine Narziss Ach, affrontando direttamente il problema dell'attività inconscia nel pensiero e nella volontà con una serie di precise indagini di laboratorio, mostrò sperimentalmente il ruolo delle tendenze determinanti inconsce nell'esecuzione di atti consci di volontà e di pensiero [217].

Un altro modo di affrontare il problema dell'inconscio fu fornito dalle nuove ricerche parapsicologiche che ebbero origine in Inghilterra. Negli anni 1870 era sorto all'Università di Cambridge un movimento che si proponeva di esplorare le profondità della psiche inconscia, e in particolare i fenomeni di chiaroveggenza, di predizione del futuro, e delle presunte comunicazioni con i defunti. Dopo un lungo periodo privo di ufficialità, nel 1882 venne fondata la Society for Psychical Research, ad opera di un fisico, William Barrett, di un religioso, Stainton Moses, di un filosofo, Henry Sidgwick, e di un giovane studioso di formazione classica, Frederick Myers. Myers sarebbe poi stato la personalità più importante nei primi vent’anni dell'associazione [218]. Alla base della concezione di Myers c'era l'interrogativo filosofico: L'universo ci è amico? Tuttavia, per poter giungere ad avere una risposta esauriente, occorreva prima assicurarsi la possibilità di ulteriori sviluppi rispondendo alla domanda preliminare: La vita umana continua dopo la morte? Il problema della sopravvivenza dopo la morte veniva così posto in primo piano nella ricerca parapsicologica. Entro tale contesto sorsero molti altri interrogativi, e Myers ritenne di dover compiere un'analisi approfondita sia dei problemi dell'ipnosi e della personalità alternante, sia dei normali fenomeni parapsicologici, prima di poter affrontare nel modo corretto il problema della comunicazione con gli spiriti dei defunti. Egli incominciò a esaminare criticamente tutta la letteratura relativa a tali argomenti. I risultati del suo esame, oltre ai risultati delle ricerche parapsicologiche condotte da lui e dai colleghi, vennero raccolti in un'opera enciclopedica che fu pubblicata postuma nel 1903 [219]. Myers perciò non fu solo un parapsicologo, ma anche uno dei grandi sistematizzatori del concetto di psiche inconscia. Nella concezione di Myers, il "Sé subliminale" (così lo chiamava) aveva funzioni superiori e funzioni inferiori. Le funzioni inferiori si mostravano nei processi dissociativi descritti dagli psicopatologi, e le funzioni superiori si rivelavano in talune opere geniali che potevano venire intese come un'"ondata subliminale" proveniente dai ricchi depositi d'informazioni, di sentimenti, e di riflessioni collocati al di sotto della coscienza del pensatore creativo. Myers riteneva che attraverso le funzioni superiori la psiche umana potesse anche entrare occasionalmente in comunicazione con gli spiriti dei defunti. Una terza funzione dell'inconscio veniva chiamata da Myers la "funzione mitopoietica", cioè la tendenza inconscia a tessere trame fantastiche. Purtroppo Myers non seguì fino in fondo le implicazioni di questo concetto così fruttuoso.

L'approccio clinico all'esplorazione dell'inconscio era già stato messo ampiamente a frutto in tutto il diciannovesimo secolo, poiché buona parte del lavoro dei magnetizzatori e degli ipnotisti era fondamentalmente un'indagine clinica sull'inconscio, anche se tale indagine era stata condotta prevalentemente in modo privo di sistematicità, spesso senza far uso delle facoltà critiche e senza operare sufficienti distinzioni fra i concetti teorici e quelli sperimentali.

In Francia l'interesse verso tali ricerche rifiorì dopo la pubblicazione di Charles Richet del 1875 [220]. All'inizio degli anni 1880, quando Charcot e Bernheim diedero inizio allo studio clinico dell'ipnosi, le ricerche e le pubblicazioni incominciarono ad apparire a getto continuo. Héricourt, in una rassegna pubblicata nel 1889, fece brevemente il punto sulla situazione quale si presentava alla fine degli anni 1880, affermando che l'attività psichica inconscia era ormai una verità scientifica dimostrata, senza possibilità di dubbio; egli attribuiva a Chevreul il merito di averla dimostrata sperimentalmente [221]. Tra le manifestazioni quotidiane della vita inconscia, Héricourt citava le abitudini e le pulsioni, i ricordi dimenticati che ritornavano spontaneamente ad affacciarsi alla mente, i problemi che venivano risolti nel sonno, i movimenti inconsci che avevano un contenuto e un significato psicologico, e i sentimenti inspiegabili di simpatia e di antipatia. Anche nella vita quotidiana la psiche conscia rimane sotto la direzione dell'inconscio. Riceviamo suggestioni da parte di ciò che ci circonda non solo nel corso degli esperimenti d'ipnosi, ma anche nello stato vigile, e le trasformiamo in pensieri e in sentimenti che riteniamo nostri. Altre prove dell'attività dell'inconscio si possono trovare nell'isteria, nelle manifestazioni medianiche, e nella scrittura automatica. La relazione tra la psiche conscia e quella inconscia può essere di tre tipi: 1) normalmente dovrebbe esserci una collaborazione pacifica, e l'inconscio dovrebbe limitarsi a fare da aiutante silenzioso; 2) può tuttavia verificarsi una specie di "estraniazione", cosicché l'inconscio si organizza in forma di "personalità secondaria"; ciò è quanto si verifica nell'ipnosi, temporaneamente, e permanentemente in taluni pazienti come Félida; 3) infine, può verificarsi una ribellione aperta dell'inconscio contro la psiche conscia: dopo una lotta più o meno lunga si possono avere risultati diversi, come impulsi, fobie, ossessioni. La follia compare quando la psiche conscia si arrende all'inconscio.

Tra il 1889 e il 1900 furono compiuti grandi passi anche nell'esplorazione clinica dell'inconscio. Janet pubblicò nel 1889 L'automatisme psychologique, il cui influsso, come vedremo nel prossimo capitolo, fu talmente considerevole da dominare per diversi anni il campo dell'esplorazione dell'inconscio. Janet continuò per diverso tempo le proprie indagini in tale direzione. Intanto, Breuer e Freud pubblicarono la "Comunicazione preliminare" del 1893 e gli Studi sull'isterìa del 1895; ritorneremo a loro nel capitolo 7. Nello stesso tempo, Flournoy svolgeva a Ginevra indagini molto originali.

Théodore Flournoy (1854-1920), medico, filosofo, psicologo, discepolo di Wundt, fu nominato professore di psicologia all'Università di Ginevra nel 1891. Egli aveva appreso le tecniche della psicologia sperimentale e aveva incominciato ad applicarle ai problemi della parapsicologia. Prese come massime quelli che chiamava il "principio di Amleto": Tutto è possibile, e il "principio di Laplace": Il peso delle prove dev'essere proporzionale al carattere straordinario del fenomeno. Egli svolse uno studio dettagliato sui medium ginevrini. Nel dicembre 1894 era stato invitato ad assistere a una seduta nella quale una medium, Catherine Muller, mostrava le sue capacità. Era rimasto particolarmente colpito quando aveva sentito la medium raccontare taluni avvenimenti che erano successi molti anni prima nella sua famiglia, e si era chiesto come la donna potesse esserne a conoscenza. Tuttavia Flournoy non volle trarne conclusioni affrettate: condusse una ricerca approfondita sulle origini e sull'ambiente della medium e scoprì che, molti anni prima, c'erano stati taluni rapporti tra i suoi genitori e quelli della medium: la donna poteva aver sentito parlare di quei lontani avvenimenti e poteva averli dimenticati. Flournoy partecipò regolarmente alle sedute della medium e osservò che nelle sue facoltà medianiche si stava verificando una curiosa trasformazione [222]. Ora la donna entrava in uno stato sonnambolico profondo, e manifestava alterazioni della personalità: in tale stato riviveva scene che, secondo lei, facevano parte delle sue incarnazioni precedenti. L'indagine durò per cinque anni. Catherine Muller, la medium, meglio nota con lo pseudonimo Hélène Smith, era una donna di trent'anni, alta e ben fatta, che lavorava come commessa in un grande magazzino. Credeva fermamente nello spiritismo, e non volle mai accettare denaro per le proprie esibizioni medianiche. La cerchia dei suoi ammiratori riteneva che le sue parole fossero rivelazioni provenienti da un altro mondo, mentre invece gli scettici la consideravano un'impostora. Flournoy era convinto che nessuna delle due interpretazioni fosse vera, e che fosse possibile dare al fenomeno una spiegazione naturale. Egli incominciò ad analizzare i tre cicli delle rivelazioni della medium. Nel primo ciclo la donna riviveva la sua presunta precedente incarnazione come principessa indiana del quindicesimo secolo. Nel secondo ciclo riviveva scene della vita di Maria Antonietta, affermando di essere anche la reincarnazione della regina. Nel terzo ciclo, quello "marziano", affermava di conoscere il pianeta Marte, i suoi paesaggi, i suoi abitanti e la sua lingua. Riusciva anche a scriverla e a parlarla. Flournoy riuscì a rintracciare l'origine di buona parte del materiale rivelato dalla medium in libri che la donna aveva letto da bambina. In una Storia dell'India egli rintracciò, ad esempio, tutti i dettagli che avevano dato luogo al "ciclo indiano". Il risultato dei cinque anni d'indagine di Flournoy vennero pubblicati nel libro Des Indes à la planète Mars, in cui dimostrava che le rivelazioni della medium erano "avventure romanzesche dell'immaginazione subliminale", basate su ricordi dimenticati; esse esprimevano realizzazione di desideri, e lo spirito guida di Hélène Smith, Léopold, non era che una personalità secondaria inconscia della medium [223]. Ciascuno dei cicli — diceva ancora Flournoy — era costruito su una "reversione" della personalità a una differente età: il ciclo di Maria Antonietta all'età di sedici anni, il ciclo indiano a dodici anni e le avventure marziane all'infanzia. Flournoy concludeva: "Come la teratologia illustra l'embriologia, che a sua volta spiega la teratologia, e come entrambe si uniscono per far luce sull'anatomia, così si può pensare che lo studio dei fenomeni medianici possa in futuro fornirci un quadro corretto e fruttuoso della psicogenesi." Un aspetto dell'indagine di Flournoy che oggi giudicheremmo insufficiente è quello del rapporto (o, come diremmo oggi, della traslazione) tra medium e ricercatori. Nel libro molte volte compaiono elementi tali da far supporre che Hélèn Smith fosse profondamente affezionata a Flournoy. Secondo Claparède, Flournoy aveva compreso perfettamente la natura psicosessuale dei rapporti ma per discrezione non aveva voluto parlarne, sapendo che il libro avrebbe avuto come lettori anche la medium e la cerchia delle sue conoscenze [224].

La pubblicazione del libro ebbe ripercussioni inattese. Mentre Flournoy aveva mostrato come la lingua "marziana" fosse costruita in base al modella grammaticale della lingua francese, un linguista, Victor Henry, affermò che la maggior parte del suo vocabolario era composto di parole ungheresi distorte (l'ungherese era la madrelingua del padre della medium) [225]. In seguito alla pubblicazione del libro, Hélène Smith troncò i rapporti con Flournoy e con gli spiritisti. Una ricca americana le lasciò una notevole somma di denaro, tale da permetterle di dedicarsi completamente all'attività medianica, ma ciò costituì un colpo fatale per la salute mentale della medium. Ella lasciò l'impiego, tagliando così l'ultimo legame che la univa con la realtà, e visse in isolamento quasi completo, entrando a comando nello stato sonnambolico per dipingere quadri di soggetto religioso [226]. Dopo la morte di Hélène Smith tali quadri vennero esposti a Ginevra e a Parigi [227].

L'indagine su Hélène Smith è la più nota tra le ricerche condotte da Flournoy nel campo dell'inconscio, e mostra la direzione da lui seguita. La sua preoccupazione fondamentale era quella di evitare ipotesi non necessarie che riguardassero processi parapsicologici. Egli riusciva a ricondurre molti di tali fenomeni a ricordi inconsci dimenticati (cui diede il nome di "criptomnesie"). Nello stesso modo egli dimostrò l'origine psicologica, anche se inconscia, di taluni messaggi spiritistici [228]. Un'altra grande preoccupazione di Flournoy era quella di svolgere indagini sulle varie funzioni dell'inconscio; tra queste funzioni egli poneva in primo piano l’attività creativa. Ad esempio egli descrisse una giovane madre che occasionalmente dettava frammenti filosofici che erano ben al di sopra delle sue conoscenze e del suo campo normale d'interessi [229]. Un'altra importante funzione dell'inconscio era quella di protezione. Flournoy cita casi in cui l'inconscio forniva avvertimenti, sollievi, o mezzi per riparare a qualche errore marchiano. Una terza funzione era quella di compensazione, e ciò era particolarmente notevole nel caso di Hélène Smith, donna provvista di una buona istruzione, giovane, ambiziosa, che si sentiva frustrata dalle proprie condizioni sociali e finanziarie, e che otteneva un appagamento sostitutivo dei propri desideri per mezzo di avventure fantastiche subliminali. Infine la funzione ludica dell'inconscio, anch'essa manifestata dalle fantasie subliminali. Secondo Flournoy tale funzione ludica è importantissima per poter comprendere la psicologia dei medium. Molti medium non hanno intenzione d'ingannare, ma solo di giocare, come bambine che giocano con la bambola; tuttavia in taluni casi la fantasia prende il comando.

Alla fine del diciannovesimo secolo, il problema dell'inconscio era stato affrontato da diversi punti di vista. Per offrire un quadro complessivo, possiamo dire che con l'anno 1900 erano stati mostrati quattro aspetti differenti dell'attività dell'inconscio: conservativo, dissolutivo, creativo, e mitopoietico.

1 ) Le funzioni conservative erano state identificate come le registrazioni di un gran numero di ricordi, anche ricordi di percezioni inconsce, che erano state immagazzinate e di cui la personalità conscia non sapeva assolutamente nulla. C'erano casi clinici di pazienti che durante gli stati febbrili parlavano una lingua che avevano imparato da bambini e che poi avevano dimenticato [230]. L'ipnotismo fornì numerosi casi di "ipermnesia", e abbiamo anche visto come alcuni acuti ricercatori sul sogno, come Maury e Hervey de Saint-Denis, erano capaci di riconoscere in talune immagini oniriche, apparentemente nuove, ricordi dimenticati. La durata dell'azione delle percezioni dimenticate e dei ricordi dimenticati era mostrata da Korsakov, che riferì il caso di un paziente amnesico che provava un senso di terrore alla vista delle macchine elettriche, ma che ogni volta sembrava avere dimenticato completamente i trattamenti elettroterapici ricevuti in precedenza [231]. Flournoy sottolineò la permanenza della criptomnesia, e come essa potesse spiegare i presunti fenomeni di chiaroveggenza e di telepatia. Un argomento di dibattito, molto frequente alla fine del diciannovesimo secolo tanto tra filosofi quanto tra psicologi, era se l'individuo conservasse un ricordo inconscio di tutto ciò che aveva incontrato nella vita.

2) Le funzioni dissolutive dell'inconscio comprendevano due classi di fenomeni. La prima era composta di quei fenomeni psichici che in precedenza erano consci ma che poi diventavano automatici (come si verificava nelle abitudini acquisite). La seconda era composta di taluni frammenti scissi della personalità che ancora conducevano vita parassita e interferivano con i processi normali. L'esempio classico ne era la suggestione postipnotica. C'erano anche i fenomeni su cui avevano condotto ricerche Charcot, Binet, Janet, Delbceuf, e Myers. Verso il 1895, "la supposizione che tendenze disturbatoci potessero essere introdotte con la forza nell'inconscio era comunissima" [232]. Tali fenomeni costituirono il punto di partenza delle ricerche di Janet e di Freud.

3) Le funzioni creative dell'inconscio erano già state sottolineate da tempo dai romantici, e successivamente erano state osservate da Galton, in modo più psicologico, e da Flournoy e Myers [233].

4) Le funzioni mitopoietiche (termine che sembra essere stato creato da Myers) erano la "regione media" del Sé subliminale, dove si svolgeva continuamente una strana produzione di fantasie romanzesche interiori [234]. Il grande esploratore di queste facoltà fu Flournoy con la sua ricerca su Hélène Smith e su altri medium. Nella sua concezione sembra che l'inconscio si occupi continuamente di creare miti e fantasie, che spesso rimangono inconsci e appaiono esclusivamente nei sogni. A volte essi prendono la forma di fantasticherie a occhi aperti, e si sviluppano spontaneamente nel retroscena della mente del soggetto (fenomeno suggerito da Charcot). A volte queste fantasie sono messe in atto sotto forma di sonnambulismo, ipnosi, possessione, trance medianica, mitomania, o di certe forme di deliri. A volte le funzioni mitopoietiche trovano espressione somatica: da tale considerazione veniva suggerita una possibile etiologia dell'isteria. Sembra piuttosto strano, ma il concetto di funzione mitopoietica dell'inconscio, che sembrava tanto promettente, non venne mai sottoposto a indagini più approfondite.

Il Grande Anno

Gli ultimi quindici anni del diciannovesimo secolo non possono venire compresi correttamente al di fuori dello spirito fin de siecle che permeava la vita e il pensiero dell'epoca. Ma mentre il secolo si avvicinava alla fine, le preoccupazioni fin de siecle furono sostituite da quelle per il "Grande Anno" che stava per chiudere il secolo e per aprire le porte a una nuova era sconosciuta. L'anno 1900 acquistò un valore di simbolo, con il doppio significato di fine di un secolo e d'inizio di un secolo nuovo. È chiaro che gli astronomi non vedevano nell'anno 1900 niente di diverso da un altro anno qualsiasi, ma la convinzione popolare insisteva sui significati simbolici che gli etruschi e gli aztechi avevano dato al cambiamento di secolo e al "Grande Anno". Tuttavia, se non altro, fu un'occasione d'oro per i filosofi, gli insegnanti, gli scienziati, gli scrittori, per trarre il bilancio di ciò che aveva portato il secolo diciannovesimo e per fare qualche previsione su ciò che avrebbe portato il ventesimo.

Alfred Wallace nel suo The Wonderful Century (Il secolo meraviglioso) cercò di valutare i successi e i fallimenti del diciannovesimo secolo [235]. Gli aspetti positivi comprendevano il lungo elenco delle scoperte in ogni campo scientifico, dalla fisica e dall'astronomia alla storia naturale, compresa la teoria della selezione naturale, e delle loro ripercussioni sul modo di viaggiare, sulla comunicazione delle idee, sulle macchine, ormai capaci di compiere il lavoro di molti uomini ecc. Tra gli aspetti negativi, Wallace invece includeva la vaccinazione (una follia collettiva) e la sua obbligatorietà (un crimine), il vergognoso oblio in cui era caduta la frenologia, che — egli predisse — avrebbe "certamente ottenuto il consenso generale nel ventesimo secolo", e anche l'ipnotismo e le ricerche sulla psiche. Ma soprattutto, le tre grandi malattie del diciannovesimo secolo erano state il "demone della cupidigia", il "saccheggio della terra", e il "vampiro della guerra". Il primo aveva portato a uno spaventoso aumento della miseria nel mondo, il secondo costituiva un'offesa verso la posterità, il terzo aveva fatto diventare il mondo "il tavolo da gioco delle sei grandi potenze", per non parlare poi dello sterminio dei popoli indigeni. Se si teneva presente questa prospettiva, le previsioni per il ventesimo secolo apparivano piuttosto nere.

Molti dei nuovi profeti vedevano il futuro dal punto di vista dei loro interessi. Un noto autore di libri di divulgazione scientifica, Büchner, prevedeva che il ventesimo secolo avrebbe portato a termine tutto ciò che era stato iniziato nel diciannovesimo, e che avrebbe dato la sintesi tra la scienza e la vita [236]. Ellen Key, una svedese che si era fatta notare come una vera campionessa nella lotta per i diritti femminili, proclamò che il ventesimo secolo avrebbe finalmente compreso i diritti dei bambini e si sarebbe occupato del loro benessere; sarebbe stato il "secolo dei bambini" [237]. Un socialista, Hertzka, descrisse il mondo futuro in un romanzo: un paradiso socialista fornito di ogni tipo di progressi tecnici, compresi viaggi in aeroplano [238]. Haeckel profetizzò la scomparsa delle vecchie religioni basate sulla fede superstiziosa, e la comparsa di una nuova religione, la chiesa monistica, basata sulla scienza; in essa sarebbero rimaste alcune cerimonie estetiche a imitazione delle cerimonie religiose tradizionali [239]. Nei nuovi templi non ci sarebbero state né croci né statue di santi, ma palmeti pittoreschi e vasche con meduse, coralli, stelle marine. L'altare sarebbe stato sostituito da un globo celeste che mostrasse i movimenti degli astri.

Anche i marxisti si lanciarono a fare previsioni, basate sull'analisi dialettica. Friedrich Engels scrisse che sulla testa dell'umanità pendeva la spada di Damocle di una guerra: nei primi giorni di tale guerra sarebbero stati stracciati tutti i trattati e tutte le alleanze. Sarebbe stata una guerra di razze, con da una parte i tedeschi e dall'altra parte i popoli latini e slavi. Ci sarebbero stati da quindici a venti milioni di combattenti, e l'unica ragione per la quale tale guerra non era già scoppiata era che al momento non si poteva assolutamente prevederne l'esito [240].

H. G. Wells cercò di prevedere razionalmente il futuro basandosi su un'analisi attenta delle tendenze sociali, politiche, e scientifiche della fine del diciannovesimo secolo [241]. Egli previde un enorme sviluppo della scienza, della tecnica, e anche del traffico; la morte delle strade ferrate, che sarebbero state sostituite dal traffico motorizzato (Wells riteneva poco pratiche le comunicazioni aeree); un'espansione enorme delle città; la comparsa di una nuova classe media composta soprattutto di tecnici; la scomparsa della classe contadina e di quella dei parassiti sociali, vale a dire tanto i ricchi oziosi quanto i poveri improduttivi; la scomparsa delle "lingue secondarie", lasciando solo il francese e l'inglese; nuovi tipi di guerre che sarebbero state "colpi mostruosi, pressioni di popoli contro popoli"; e il massimo disprezzo per i diritti delle popolazioni civili. Tuttavia, in tutta questa baraonda, la comparsa di un gruppo di "uomini cinetici" avrebbe portato a una nuova filosofia e ad una nuova moralità.

Probabilmente le più note previsioni furono i "romanzi del ventesimo secolo" dello scrittore francese Albert Robida, che li illustrò con disegni fantasiosi in cui comparivano persone vestite alla moda del 1895, tra macchine fantastiche e giganteschi edifici in stile Liberty [242]. Anch'egli previde un favoloso sviluppo della scienza e della tecnica, e disse che tutte le attività della vita sarebbero state legate all'elettricità. Il tempo atmosferico sarebbe stato sotto il controllo dell'ufficio meteorologico; i deserti sarebbero stati irrigati, e tutte le zone disabitate sarebbero state colonizzate e popolate. Dappertutto si sarebbero diffuse le città; la popolazione di Parigi sarebbe salita a undici milioni di abitanti. Ci sarebbe stato un traffico senza sosta tra le varie località per mezzo di tunnel pneumatici e di aeroplani. Sarebbe stato possibile entrare in comunicazione istantanea con persone di ogni parte del mondo per mezzo del "tele", vale a dire un telefono unito a una specie di specchio su cui compariva l'immagine della persona con cui si stava parlando. La gente non si sarebbe più scritta lettere ma si sarebbe mandata registrazioni. I libri sarebbero stati sostituiti quasi tutti da "fonolibri". Sarebbe stata un'epoca di confusione linguistica e culturale e i vecchi classici sarebbero stati letti in forma condensata. Le massaie non avrebbero più dovuto preoccuparsi di preparare il pranzo: i vari pasti sarebbero stati trasmessi per mezzo di tubi pneumatici da un apposito istituto dell'alimentazione, controllato dallo Stato. La scienza avrebbe dato la possibilità di ascoltare le voci del passato, di far rivivere le specie animali estinte, di produrre artificialmente un essere umano vivente in condizioni sperimentali. Dappertutto le donne avrebbero ottenuto l'uguaglianza con l'uomo. Un nuovo feudalesimo industriale sarebbe sorto, e per milioni di lavoratori la vita sarebbe diventata durissima. La vita quotidiana sarebbe stata febbrile, tormentosa, e afflitta da un costante eccesso di stimolazioni. Ci sarebbero state nuove forme artistiche e sarebbero apparsi nuovi sport come la caccia subacquea. La privacy sarebbe scomparsa perché la scienza avrebbe fornito illimitati strumenti di spionaggio. Ci sarebbero state guerre terribili, e non più per gli ideali (ormai fuori moda), ma per conquistare i mercati commerciali. In tali guerre il coraggio personale sarebbe stato inutile, perché si sarebbero usati gas velenosi e microbi. Sarebbero rimaste però anche alcune aree pacifiche. La Bretagna, ad esempio, sarebbe stata trasformata in riserva, dove i bretoni avrebbero continuato a vivere esattamente come vivevano nel diciannovesimo secolo, mentre invece l'Italia sarebbe stata trasformata in un gigantesco parco d'attrazioni per turisti.

Ci fu anche almeno uno psichiatra che provò a dire la sua sul futuro. Kegnard, concludendo un volume sulle grandi psicosi collettive dal sedicesimo al diciannovesimo secolo, cercò di delineare quali sarebbero state le psicosi di massa del ventesimo secolo [243]. Prendendo in considerazione il declino della famiglia, dell'aristocrazia e della religione, lo scatenarsi di una competizione sociale fuori d'ogni controllo, la diffusione delle ideologie rivoluzionarie, e l'azione perniciosa dell'alcolismo, egli previde che la psicosi di massa del ventesimo secolo sarebbe stata probabilmente "la pazzia omicida, la follia del sangue e della distruzione".

In psicologia e psichiatria, come in ogni altro campo, sembravano tutti convinti che il futuro avrebbe portato grandi progressi, probabilmente anche grandi sorprese. Nel 1892 Janet affermava che nel ventesimo secolo "ogni paziente, dal semplice reumatico all'affetto da paresi generale, saranno sottoposti a un'attenta indagine psicologica che si estenderà a tutti i dettagli", supposizione che allora sfiorava il paradosso [244]. Bergson affermò nel 1901: " L'esplorazione dell'inconscio, il lavoro nel sotterraneo della mente con adeguati metodi specifici: questo sarà il compito principale della psicologia nel prossimo secolo. Non dubito che si verificheranno grandi scoperte, probabilmente della stessa importanza delle scoperte compiute nei secoli passati nel campo delle scienze fisiche e naturali [245]."

Intanto era venuto di moda un nuovo termine, la parola "psicoterapia", usata per la prima volta da qualche allievo di Bernheim [246]. Fu subito accolta dagli scrittori e dal pubblico, e si fecero ipotesi sulla psicoterapia del futuro [247]. Van Eeden disse che l'ipnosi risultava efficace solamente con pazienti delle classi sociali inferiori: "È inammissibile che una terapia sia adatta soltanto per pazienti spedalizzati", aggiunse [248]. Occorreva trovare una psicoterapia adatta anche per le persone istruite; doveva essere un metodo non autoritario, tale da mantenere intatta la libertà personale: esso doveva spiegare al paziente che cosa stesse accadendo nell'interno della sua mente, e doveva garantirgli che "tutti i metodi impiegati agivano esclusivamente attraverso la sua stessa psiche".

Si vede così che nel 1900 molte persone erano in attesa della nascita di una nuova psichiatria dinamica. Però, a quanto pare, poche s'erano accorte che era già nata.

Note

[1] Secondo quanto è detto in A. Billy, L'epoque 1900: 1885-1905 (Tallandier, Parigi 1951). Tra il 1885 e il 1900 si svolsero a Parigi almeno centocinquanta duelli per motivi politici, giornalistici o letterari; di questi, due si conclusero con un morto.

[2] Muriel Jaeger, Before Victoria (Chatto & Windus, Londra 1956).

[3] S. Gordon e T. G. B. Cocks, A People's Conscience (Constatile & Co., Londra 1952).

[4] F. Somary, Erinnerungen aus meinem Leben (Manasse-Verlag, Zurigo 1959).

[5] R. Payne, Zero. The Story of Terrorism (John Day, New York 1950).

[6] A. Tokarskij, Voprosi filosofij i psichologij, N. 40, 93 (Mosca 1897).

[7] E. Metchnikoff, Etudes sur la nature humaine. Essai de philosophie optimiste (Masson, Parigi, 3ª ed. 190;) pp. 343-73.

[8] U. von Wilamowitz-Moellendorf, Erinnerungen, 1848-1914 (Koehler, Lipsia 1928) p. 70.

[9] A. Fuchs, Geistige Strömungen in Oesterreieh (Globus-Verlag, Vienna 1949) p. VIII.

[10] M. Dessoir, Buch der Erinnerungen (Enke, Stoccarda 1946) p. 217.

[11] O. Lubarsch, Ein bewegtes Gelehitenleben. Erinnerungen und Erlebnisse, Kämpfe und Gedanken (Springer, Berlino 1931) p. 107.

[12] M. Benedikt, Aus meinem Leben. Errinerungen und Erorterungen (Konegen, Vienna 1906) p. 66.

[13] Ibid., pp. 76 sg.

[14] J. Thorwald, Die EntJassung (Droemersche Verlagsanstalt, Monaco e Zurigo 1960).

[15] L. Daudet, L'invidia littéraire, in Le roman et les nouveaux écrivains (Le Divan, Parigi 1925) pp. 106-11.

[16] Dora Stockert-Meynert, Theodor Meynert und seine Zeit (Osterreichischer Bundesverlag, Vienna e Lipsia 1930) p. 52; Benedikt, Aus meinem Leben cit., p. 58.

[17] Wilamowitz-Moellendorf, Zukunftsphilologie!, 2 voll. (Bornträger, Berlino 1872-73).

[18] E. Rohde, Afterphilologie (Fritzsch, Lipsia 1872).

[19] "Wenn ein Kopf und ein Buch zusammenstossen, und es klingt hohl, ist denn das allemal im Buche?"

[20] R. Valléry-Radot, La vie de Pasteur (Hachette, Parigi 1900).

[21] Benedikt, Hypnotismus und Suggestion (Breitenstein, Lipsia e Vienna 1894).

[22] H. Piéron, Grandeur et décadence des rayons N. Histoire d'une croyance, Année psychol., vol. 13, 143-69 (1907).

[23] P. Lowell, Mars and Its Canals (Macmillan, New York 1906).

[24] A. Forel, Mémoires (La Baconnière, Neuchàtel 1941) p. 125. Nella traduzione inglese, Out of My Life and Work (Alien & Unwin, Londra 1937) p. 157, il relativo paragrafo è stato reso in una forma tale che l'incidente ne risulta incomprensibile. In una notizia biografica su Forel, Hans Steck non esita a scrivere che Bechterev aveva fatto sua la scoperta di Forel (Schweizer Arch. Neurol. Psychiat., vol. 6; N. 1, 421-25, 1950).

[25] Forel, Mémoiies cit., pp. 131-33.

[26] Valléry-Radot, Pasteur inconnu (Flammarion, Parigi 1954) pp. 101 sg.

[27] W. Leibbrand, Der Kongress, Medsche Klin., vol. 56, 901-04 (1961).

[28] Benedikt, Aus meinem Leben cit.

[29] C. H. Gordon, Forgotten Scripts: How They Were Deciphered and Their Impact on Contemporary Culture (Basic Books. New York 1968).

[30] Geneviève Bianquis, Nietzsche devant ses contemporains. Textes recueillis et choisis (Ed. du Rocher, Monaco s.d.) ha dimostrato come Nietzsche non sia poi stato così solitario come vorrebbe la leggenda, ma che abbia anzi avuto amici molto devoti.

[31] E. F. Podach, Friedrich Nietzsche's Werke des Zusammenbruchs (Rothe, Heidelberg 1961).

[32] H. M. Wolff, Friedrich Nietzsche. Der Weg zum Nichts, "Collezione Dalp" (Francke, Berna 1956).

[33] L. Klages, Die psychologischen Errungenschaften Nietzsches (Barthes, Lipsia 1926).

[34] K. Jaspers, Nietzsche. Einführung in das Verständnis seines Philosophierens (De Gruyter, Berlino 1936) pp. 105-46.

[35] A. Mittasch, Friedrich Nietzsche als Naturphilosoph (Kroner, Stoccarda 1952).

[36] T. Mann, Nietzsche's Philosophy in the Light of Contemporary Events (Library of Congress, Washington 1947).

[37] K. Heinze, Verbrechen und Strafe bei Friedrich Nietzsche. Versuch einer Deutung und Zusammenschau seiner Gedanken zum Strafrecht (De Gruyter, Berlino 1939).

[38] Nietzsche, Aurora, trad. it. in "Opere di F. Nietzsche", vol. 5, t. 1 (Adelphi, Milano 1964) 1. 5, N. 523, p. 244.

[39] Id., Umano, troppo umano. I, trad. it. in "Opere di F. Nietzsche", vol. 4, t. 2 (Adelphi, Milano 1965) pt. 2, N. 87, p. 69.

[40] Id., Aurora cit., 1. 2, N. 119, p. 92.

[41J Id., Umano... I cit., pt. 1, N. 12, p. 22.

[42] Id., Aurora cit., 1. 4, N. 312, p. 187.

[43] W. Kaufmann, Nietzsche - Philosopher - Psychologist - Antichrist (Princeton Univ. Press, 1950).

[44] Nietzsche, Umano... I cit., pt. 2, N. 107, p. 83.

[45] Id., Al di là del bene e del male, trad. it. in "Opere di F. Nietzsche", vol. 6, t. 2 (Adelphi, Milano 1968) cap. 4, N. 75, p. 72.

[46] Id., Genealogia della morale, trad. it. in "Opere di F. Nietzsche", vol. 6, t. 2 (Adelphi, Milano 1968) diss. 2, N. 1, p. 255.

[47] Id., Al di là cit., cap. 4, N. 68, p. 71.

[48] Questo è spiegato particolarmente nell'opera di Nietzsche Genealogia cit.

[49] M. Scheler, Ueber Ressentiment und moralisches Werturteil, Z. Pathopsychol., vol. 1, 269-368 (1911-1912).

[50] G. Maranon, Theorie des Ressentiments, Merkur, vol. 6, 241-49; Id., Tiberius. A Study in Resentment (Hollis & Carter, Londra 1956).

[51] P. Rèe, Der Ursprung der moralischen Empfindungen (Schmeitzner, Chemnitz 1875).

[52] Nietzsche, Genealogia cit., diss. 1, N. 11, p. 240.

[53] Id., Umano, troppo umano. II, trad. it. in "Opere di F. Nietzsche", vol. 4, t. 3 (Adelphi, Milano 1967) pt. 2, N. 52, p. 165.

[54] Id., L'Anticristo, trad. it. in "Opere di F. Nietzsche", vol. 6, t. 3 (Adelphi, Milano 1970) N. 55, p. 243.

[55] Id., Umano... I cit., pt. 7, N. 380, p. 225.

[56] Id., Genealogia cit., diss. 2., N. 16, p. 285.

[57] Id., La gaia scienza, trad. it. in "Opere di F. Nietzsche", vol. 5, t. 2 (Adelphi, Milano 1965) 1. 5, N. 344, p. 207.

[58]E. Benz (a cura di), Der Uebemiensch (Rhein-Verlag, Zurigo 1961); J. Wolff, Zur Genealogie des Nietzsche‘schen Uebermenschen, Veroff. dt. akad. Verein. Buenos Aires, vol. 1, N. 2.

[59] F. Ernst, Die romantische Ironie (Schulrhcss, Zurigo 1915) p. 125, ha dimostrato che questa famosa frase era già contenuta nell’"Athenäum" di Friedrich Schlegel.

[60] Nietzsche, La gaia scienza cit, 1. 1, N. 49, pp. 73 sg.

[61] Questa è l'interpretazione suggerita da Lou Andreas-Salomé, Friedrich Nietzsche in seinen Werken (Konegen, Vienna 1894) p. 20;.

[62] W. D. Williams, Nietzsche and the French (Blackwell. Oxford 1052) p. 100

[63] Nietzsche, Umano... I cit., pt. 9, N. 513, p. 274.

[64] Andreas-Salomé, Friedrich Nietzsche cit.

[65] S. Freud, Autobiografia (1923), trad. it. in G. Musatti, Freud (con antologia freudiana, (Universale scientifica Boringhieri, N. 56).

[66] Nietzsche, Così parlò Zarathustra, trad. it. in "Opere di F. Nietzsche", vol. 6, t. 1(Adelphi, Milano 1968) pt. 1, pp. 34-36.

[67] "Alle Klagen ist Anklagen" è detto in Umano... Jf cit., p. 34.

[68] "Ihre Klagen sind Anklagen" è detto in Freud, Metapsicologia: Lutto e melanconia (1913).

[69] Qualche osservazione è stata fatta da C. Baudouin, Nietzsche as a Foreruimer ot Psychoanalysis, in "Contemporary Studies" (Alien & Unwin, Londra 1924) pp. 40-43.

[70] F. G. Crookshank, Individual Psychology and Nietzsche, "Individual Psyehology Pamphlets", N. 10 (Daniel Co., Londra 1933).

[71] A. J. Leahy, Nietzsche interprete par Jung, "Etudes nietzschéennes", vol. 1, N. 1 (Soc. Francaise d'études nietzschéennes, Aix-en-Provence 1848) pp. 36-43.

[72] Ika Thomese, Romantik und Neu-Romantik (Nijhoff, L'Aia 1923); E. C. Mason, RiiJce, Europe and the English-speaking World (Cambridge Univ. Press., 1961) pp. 67-80.

[73] H. Mitlacher, Die Entwicklung des Narziss-Begriffs, Rom.-germ. Msehr., vol. 21, 373-83 (1933).

[74] J. Romains, Souvenirs et confidences d'un écrivain (Fayard, Parigi 1958) pp. 15 sg.

[75] A. E. Carter, The Idea of Decadence in French Literature, 1830-1900 (Univ. of Toronto Press, 1958) pp. 144-51.

[76] M. Nordau, Entartung (Dunker, Berlino 1892).

[77] A. de Gobineau, Essai sur l'inégalité des races humaines, 4 voll. (Kirmin-Didot, Parigi 1853-55)

[78] L'espressione più conosciuta di tale sentimento si trova nell'opera dello scrittore francese E. Demolins, A quoi tient la supériorité des Anglo-Saxons? (Firmin-Didot, Parigi 1897).

[79] H. S. Chamberlain, Die Grundlagen des neunzehnten Jahrhunderts (Bruckmann, Monaco 1899).

[80] K. G. Millward, L'oeuvre de Pierre Loti et l'esprit "fin de siècle" (Nizet, Parigi 1955) pp. 11-36.

[81] Malwida von Meysenbug, Memoiren einer Idealistin (Auerbach, Berlino s.d.) vol. 3, pp. 223-34.

[82] Queste antitesi sono state ben descritte da Carter, The Idea of Decadence cit.

[83] E. Dujardin, Les lauriers sont coupés (Revue Indépendante, Parigi 1888).

[84] A. Schnitzler, Leutnant Gusti (Fischer, Berlino 1901).

[85] "Ci-git 1880 - l'année pornographique" (J. Claretie, La vie a Paris, 1880, Harvard, Parigi 1881, p. 507).

[86] M. Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica (Sansoni, Bologna 1966).

[87] P. Morand, 1900 (Les Editions de Franco, Parigi 1931).

[88] Billy, L'epoque 1900 cit.

[89]Il suo primo libro era una protesta contro la pena di morte. Si veda E. Kraepelin, Die Abschaffung des Strafmasses (Ennke, Stoccarda 1880).

[90] A. Forel, Rückblick auf mein Leben (Europa-Verlag, Zurigo 1935). L'edizione francese è spesso più completa: Mémoires (La Baconnière, Neuchatel 1941).

[91] Anne-marie Wettley. August Forel, ein Arztleben im Zwiespalt seiner Zeit (Müller, Salisburgo 1953).

[92] Forel, Rückblick cit., pp. 126 sg.

[93] Finora non è stata pubblicata nessuna biografia di Kugen Bleuler. Sono stati consultati i seguenti scritti: M. Bleuler, Eugen Bleuler, die Begründung der Schizophrenie-Lehre, "Gestalter unserer Zeit", vol. 4: Erforscher des Lebens (Stalling, Oldemburgo s.d.) pp. 110-17; J. Wyrsch, Eugen Bleuler und sein Werk, Schweizerische Rundschau, vol. 39, 625-27 (1939-40); M. Bleuler, Geschichte der Burgholzli und der psychiatrischen Universitatsklinik, in "Zürcher Spitalgeschichte" (Regierungsrat des Kanton Zürich, 1951) pp. 317-425.

[94] Nel 1852 Morel aveva coniato il termine demence precoce per indicare quei pazienti che subito dopo l'insorgere della malattia cadevano in preda a gravi disturbi mentali; si veda B. A. Morel, Etudes cliniques, vol. 1 (1852) pp. 37 sg. Era opinione generale che tutte le forme di malattia mentale portassero prima o poi a una grave menomazione mentale (chiamata démence anche se era assente l'attuale connotazione di deterioramento mentale). Il termine démence precoce significava in effetti "disturbo mentale rapido"; in seguito venne a significare, erroneamente interpretato, "demenza in età precoce".

[95] E. Bleuler. Dementia praecox, oder Gruppe der Schizophrenien, in Aschaffenburg (a cura di), "Handbuch der Psychiatrie" (Deuticke, Vienna 1911) parte speciale, sez. 4, 1.

[96] F. Schlegel, Philosophie des Lebens (1827), in Schriften und Fragmente, a cura di E. Behler (Kroner, Stoccarda 1956) pp. 245-49.

[97] E. Minkowski, La schizophrénie (Payot, Parigi 1927) pp. 249-65.

[98] Lo studio di A. Meyer, Fundamental Goncepts in Dementia Praecox, Br. med. J., vol. 2, 757-60 (1906), pubblicato anche in J. nerv. ment. Dis., vol. 34, 331-36 (1907), fu una pietra miliare nella storia della psichiatria.

[99] S. Paton, The Care of the Insane and the Study of Psychiatry in Germany, J. nerv. ment. Dis., vol. 33, 225-33 (1906).

[100] H. Simon, Krankenbehandlung in der Irrenanstalt (De Gruyter, Berlino e Lipsia 1929).

[101] A. Grohmann, Technisches und Psychologisches in der Beschaftigung von Nervenkranken (Enke, Stoccarda 1899).

[102] A. Lalande (a cura di), Vocabulaire technique et critique de la philosophie (PUF, Parigi, 5° ed. 1947) p. 246.

[103] A. Winkelmann, Einleitung in die dynamische Psychologie (Dieterich, Gottinga 1802).

[104] M. M. A. Macario, Mémoire sur les paralysies dynamiques ou nerveuses. Gaz. méd. Paris (1857-58).

[105] C.-E. Brown-Séquard, Inhibitions et dynamogénie, Acad. Sci. (1885).

[106] S. Exner, Entwurf zu einer physiologischen Erklarung der psychischen Erscheinurigen (Deuticke, Lipsia e Vienna s.d.) vol. 2, pp. 69-82.

[107] G. de Morsier, Le mécanisme des hallucinatious, Annls méd.-psychol., vol. 88, 365-89 (1930); Id., Les hallucinations, Revue Oto-Neuro-Ophtal., vol. 16, 244-48 (1938).

[108] "Toute idée suggérée et acceptée tend à se faire acte."

[109] H. Aimé, Etude clinique du dynamisme psychique (Doin, Parigi 1897).

[110] J.-J. Moreau (de Tours), Du hachisch et de l'aliénation mentale (Fortin, Parigi 1845).

[111] P. Janet, Névroses et idées fìxes (Alcan, Parigi 1898) vol. 1, p. 469.

[112] H. Ey e H. Mignot, La psychopathologie de J. Moreau (de Tours) vol. 2, 225-41 (1947).

[113] J.H. Jackson,nThe Factors of Insanity, Med. Press (1874), ristampato in Selected Writings (Hodder & Stoughton, Londra 1932) vol. 1, pp. 411-21. Si veda aneliti A. Stengel, The Origin and the Status of Dynamic Psychiatry, Br. J. med. Psychol., vol. 27, pt. 41, 193-200 (1954).

[114] H.W. Brann, Nietzsche und die Frauen (Meiner, Lipsia 1931) pp. 139 sg., 207 sg, Questo fatto fu trasposto da Thomas Mann nel suo romanzo Dokctor Faustus (Bermann-Fischer, Stoccolma 1947) capp. 16 sg.

[115] P. J. Moebius. Uber den physiologischen Schwachsinu des Weibes (Marhold, Hallo 1901).

[116] Lester Ward, citato da S. Chugerman, Lester F. Ward, The American Aristotle (Duke Univ. Press, Durham 1939) pp. 378-95; A. Montague, La naturale supremazia della donna, trad. it. (Bompiani, Milano 1956).

[117] J. Michelet, La femme, in Oeuvres complètes (Flammarion, Parigi 1860) vol. 34, p. 605.

[118] C. Spitteler, Imago (Diederichs, Jena 1906).

[119] Novalis, I discepoli di Sais (1802), trad. it. (Carabba, Lanciano 1912).

[120] W. Jensen, Gradiva. Fantasia pompeiana, trad. it. in S. Freud, Saggi sull'arte, la letteratura e il linguaggio (Boringhieri, Torino 1969) vol. 2. [121] K. Neisser, Die Entstebung der Liebe (Konegen, Vienna 1897). [122] Laura Marholm, Zur Psycbologie der Frau, 2 voll. (Duncker, Berlino 1897 e 1903).

[123] O. Weininger, Geschlecht und Charakter (Braunmüller, Vienna 1903).

[124] H. Rebell, Les inspiratrices (Dujarric, Parigi 1902); E. Schuré, Femmes inspiratrices et poètes annonciateurs (Perrin, Parigi 1908).

[125] E. Reicke, Malwida von Meysenbug (Schuster & Loeffler, Berlino e Lipsia 1911).

[126] Malwida von Meysenbug, Memoiren cit.; Id., Das Lebensabend einer Idealistin (Schuster & Loeffler, Berlino e Lipsia s.d.).

[127] Ria Claassen, Das Frauenphantorn des Mannes, Zürcher Diskussionen, Flugbl. Gesamtgebiet mod. Lebens, vol. I, N. 4 (1897-98).

[128] A. Villier de Isle-Adam, Eva futura (1886), trad. it. (Bompiani, Milano 1966).

[129] Michelet, La femme cit., pp. 13-17.

[130] Brown-Séquard, Des effets produits chez l'homme par cles injectìons sous-cutanées d'un liquide retiré des testicules frais de cobayes et de chiens, C. r. Séanc. Mém. Soc. Biol., 9 s., vol. 1, 415-19 (1889).

[131] J.-C. Debreyne, Essais sur la théologie morale considérée dans ses rapports avec la physiologie et la médecine (Poussielgue-Rusand, Parigi 1844); Id., Moechialogie. Traité sur les péchés contre le sixième et le neuvième commandement du Décalogue (Poussielgue-Rusand, Parigi, 2a ed. 1846).

[132] Dupanloup, De l'éducation, 3 voll. (Douniol, Parigi 1866): si veda cap. 1, p. 86 e cap. 3, pp. 444-60.

[133] Michelet, Nos fils (1869), in Oeuvres complètes cit., vol. 31, pp. 283-588.

[134] La frequenza della masturbazione e del suo sostituto, il succhiamento del pollice, nei bambini era noto anche ai sessuologi contemporanei. Si vedano H. Rohleder, Vorlesungen über Sexualtrieb und Sexualleben des Menschen (Fischer, Berlino 1941); A. Fuchs, Zwei Falle von sexueller Paradoxien, Jb. Psychiat. Neurol., vol. 23, 206-13 (1903).

[135] La storia della patologia sessuale è stata trattata nelle seguenti opere: M. Heine, Confessions et observations psychosexuelles tirées de la littérature medicale (Crès, Parigi 1936); Annemarie Wettley, Von der "Psycopathia Sexualis" zur Sexual-wissenschaft (Enke, Stoccarda 1959).

[136] T. Sànchez, De sancto matrimonii sacramento, 3 voll. (Anversa 1607).

[137] A. de Liguori, in Oeuvres (Vivès, Parigi 1877) vol. 9, pp. 217-23.

[138] G. Lely, Sade, profeta dell'erotismo, trad. it. (Feltrinelli, Milano 1968).

[139] L. von Sacher-Masoch,Venere in pelliccia, trad. it. (Vallecchi, Firenze 1964).

[140] H. Kaan, Psychopathia sexualis (Voss, Lipsia 1844).

[141] J-C. Santlus, Zur Psycbologie der menschlichen Triebe (Heuser, Neuwied e Lipsia 1864).

[142] P. Moreau (de Tours), Des aberrations du sens génésique (Asselin, Parigi 1880).

[143] C. Westphal, Die Conträre Sexualempfindung, Arch. Psychiat., vol. 2, 73-100 (1870).

[144] R. von Krafft-Ebing, Beitrage zur Kenntnis des Masochismus, "Arbeiten aus dem Gesamtgebiet der Psychiatrie und Neuropathologie", vol. 4 (Barth, Lipsia 1897-99) pp. 127-31.

[145] Id., Uber gewisse Anomalien des Geschlechtstriebes, Arch. Psychiat. Nervenkrankh., vol. 7, 291-312 (1876-77).

[146] E.-C. Lasègue, Les exhibitionnistes, Un. méd. Can. (maggio 1877). Citato in Krafft-Ebing, Psychopathia sexualis (Enke, Stoccarda 1893) p. 380.

[147] A. Binet, Le fétichisme dans l'amour, Revue phil., vol. 12, N. 2, 143-67 (1887).

[148] E. Chambard, Du somnambulisme en general, tesi di medicina, N. 78 (Parent, Parigi 1881) pp. 55, 65.

[149] W. Bölsche, Das Liebesleben in der Natur, 3 voll. (Diederichs, Jena 1898-1902).

[150] Benedikt, Aus meinem Leben cit., p. 163.

[151 ] C. Fere, Contribution a l'histoire du choc moral chez les enfants, Bull. Soc. Méd. ment. Belg., vol. 74, 333-40 (1894).

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[178] Moll, Untersuchungen über die Libido sexualis (Kornfeld, Berlino 1898).

[179] Meynert, Klinische Vorlesungen cit., p. 195.

[180] Benedikt, Elektrotherapie cit. Il termine "libido" ricorre nove volte tra la pagina 448 e la 434.

[181 ] Krafft-Ebing. Ueber Neurosen cit. Il termine "libido" ricorre tre volte tra la pagina 1 e la 6.

[182] O. Effertz, Ueber Neurasthenie (New York 1894).

[183] A. Eulenburg, Sexuale Neuropathic genitale Neurosen und Neuropsychosen der Manner und Frauen (Vogel, Lipsia 1895;).

[184] L. Arréat, Sexualité et altruisme, Revue phil., vol. 22, N. 2, 620-32 (1886).

[185] J. Ennemoser, in Der Magnetismus in Verhaltnisse zur Natur und Religion (Cotta, Stoccarda e Tubinga 1842) pp. 335 sg. ("Das Wesen des Traumes ist ein potentielles Geniusleben").

[186] I. Troxler, Blicke in das Wesen des Menschen (Sauerländer, Aarau 1812).

[187] K. A. Schemer, Das Leben des Traums (Schindler, Berlino 1861).

[188] "Sogni cardiaci" con simboli simili a quelli di Scherner si possono trovare ad esempio in: F. J. Soesman, Rêves organo-génésiques, Annls méd.-psychol., vol. 86, 64-67 (1928); J. Piaget, La formation du symbole chez l'enfant (Delachaux & Niestlé, Neuchâtel 1959) P- 213; M. Deat, L'interprétation du rhythme du cœur dans certains rêves, J. Psychol., vol. 18, 555-57 (1921).

[189] R. A. Schwaller de Lubicz, Le temple de l'homme. Apet du Sud à Louqsor, 3 voll. (Caractères, Parigi 1958).

[190] R. Vischer, Uber das optische Formgefuhl (Credner, Lipsia 1873).

[191] A. Maury, Le sommeil et les rêves (Didier, Parigi 1861; ed. riveduta e corretta 1878).

[192] J. Mourly Void, Einige Expérimente über Gesechtsbilder im Traume, in "Dritter Internationales Congress fur Psychologie in München" (Lehmann, Monaco 1897); Uber den Traum. Experimental-psychologische Untersuchungen, a cura di O. Klemm, 2 voll. (Barth, Lipsia 1910-12) p. 338.

[193] S. De Sanctis, I sogni (1899).

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[198]R. L. Stevenson, Across the Plains (Chatto & Windus, Londra 1898), cap. 8 "A Chapter on Dreams".

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[201] L. Strumpell, Die Natur und Entstehung der Träume (Von Veit & Co., Lipsia 1874).

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[208]Y. Delage, Essai sur la théorie du rêve, Revue scient., vol. 48, N. 2, 40-48 (1891). Questo scritto fu poi ampliato in volume, col titolo Le rêve, étude psychologique, philosophique et littéraire (PUF, Parigi 1919).

[209] La storia delle teorie sull'inconscio è stata trattata più volte. Si vedano, tra gli altri: J. Miller, Unconsciousness (Wiley, New York 1942); D. Brinkmann, Problème des Unbewussten (Rascher, Zurigo 1943); E. L. Margetts, The Concept of the Unconscious in the History of Medical Psychology, Psychiat. Q., vol. 27, 115 (1953); H. Hellenberger, The Unconscious before Freud, Bulletin of the Menninger Clinic, vol. 21, 3-15 (1957); L. Law White, The Unconscious before Freud (Basic Books, New York 1960).

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[213] H. von Helmholtz, Handbuch der physiologischen Optik, vol. 3 (1859) (Voss, Amburgo, 3a ed. 1910) pp. 3-7.

[214] M.-E. Chevreul, Lettre à M. Ampère, Revue Deux Mondes, 2 s., 258-66 (1833).

[215] Id., De la baguette divinatoire, du pendule explorateur, des tables tournantes, au point de vue de l'histoire, de la critique et de la méthode expérimentale (Mallet-Bachelier, Parigi 1854).

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[223] T. Flournoy, Des Indes à la Planète Mars. Etude sur un cas de somnambulisme avec glossolalie (Atar, Parigi e Ginevra 1900).

[224] Claparède, Théodore Flournoy cit.

[225] V. Henry, Le langage martien. Etude analytique de la genèse d'une langue dans un cas de glossolalie somnambulique (Maisonneuve, Parigi 1901).

[226] H. Cuendet, Les tableaux d'Hélène Smith peints à l'état de sommeil (Atar, Ginevra 1908).

[227] Successivi dati particolareggiati sulla medium sono forniti da W. Deonna, De la planète Mars en Terre Sainte (De Boccard, Parigi 1932).

[228] Flournoy, Genèse de quelques prétendus messages spirites, Annls Sci. psych., vol. 9, 199-216 (1899).

[229] Congrès international de psychologie (Monaco 1896) pp. 417-20.

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[232] Murphy, Historical Introduction to Modem Psychology (Harcourt Brace, New York 1949) p. 204.

[233] Galton, Antechamber of Consciousness cit.

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[237] Ellen Key, The Century of the Child (1899). Trad. ingl. riveduta dall'autrice (Putnam's Sons, Londra e New York 1909).

[238] T. Hertzka, EntriieJct in die ZuJcunft. Sozialpolitischer Roman (Dümmler, Berlino 1895).

[239] E. Haeckel, Die Welträthsel (Strauss, Bonn 1899).

[240] F. Engels, Einleitung zu "Der Biirgerkrieg in Frankreich" von Karl Marx. Ausgabe 1891, in "Karl Marx - Friedrich Engels Werke" (Dietz, Berlino 1962) vol. 17, p. 616.

[241] H. G. Wells, Anticipations of the Reaction of Mechanical and Scientific Progress upon Life and Thought (Harper Bros., New York e Londra 1902).

[242] A. Robida, Voyage de fiançailles au XXe siècle (Conquet, Parigi 1892); Id., Le vingtième siècle. La vie électrique (Librairie Illustrée, Parigi 1895); Id., Le vingtième siècle. Texte et dessins (Montgrédien, Parigi s.d.).

[243] R. Regnard, Les maladies épidémiques de l'esprit (Pion, Parigi 1887) pp. 423-29.

[244] P. Janet, L'anesthésie hystérique, Archs Neurol., vol. 2;, 323-52 (1892).

[245] H. Bergson, Le rêve, Bull. Inst, psychol. int., vol. 1, 97-122 (1900-01).

[246] Van Eeden nella sua autobiografia Happy Humanity (Doubleday, Page & Co., New York 1912) sostiene di aver introdotto lui il termine; aggiungendo però che Hack Tuke aveva già usato il termine "psicoterapeutica".

[247] M. Barrés, Trois stations de psychotérapie (Perrin, Parigi 1891).

[248] Van Eeden, The Theory of Psychotherapeutics, Med. Mag., vol. 1, 230-57 (1895).